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Argomento di discussione: Peccato



02.10.2012 18:10 - Pastore Jens Hansen risponde:


02.10.2012 18:10 - Pastore Jens Hansen ha scritto:
che cosa è il peccato?

Citi delle definizioni attraenti, che però secondo me tolgono la radicalità della questione. Se il percorso di Gesù di Nazareth finisce sulla croce e già il giovane cristianesimo vede nella crocifissione l'atto centrale con cui Dio intende affrontare il problema del peccato, vuol dire che esso non può essere una questione di 'certe volte', ma un problema fondamentale.

Il pastore della mia comunità di origini sovente diceva una frase che mi è rimasta in mente: 'Dio odia a morte il peccato e ama da morire il peccatore'. qui dentro c'è quindi un peso del peccato che va oltre un errore, qualche difetto o anche oltre alle casistiche morali.

Per questo trovo molto bello che con la ultima frase introduci 'l'altro'. Infatti secondo me anche per Dio il peccato è un problema di incapacità di relazione sia con Dio sia con gli altri. In Cristo Dio si offre come interlocutore e per mezzo dello Spirito come colui che ci rende capaci di interagire e di relazionarci in modo diverso.

24.09.2012 18:09 - zetetico ha scritto:
In altre occasioni mi è capitato di ricordare che, a dispetto di una diffusa sensibilità cristiana, in sede di Giudizio finale Sodoma e Gomorra non sembrano rappresentare il non plus ultra della condotta disdicevole (cfr. Mt 10,15 e paralleli). Riguardo al peccato, vorrei richiamare la “definizione” (a mio avviso meno eretica di quanto possa sembrare) che ne ha dato il filosofo Gianni Vattimo: “Il peccato è la mia finitezza, la mia povertà, il fatto che certe volte sono costretto a sparare contro uno che mi viene contro con un fucile. Il peccato è come un’esclamazione: ‘Porca miseria, guarda in che stato sono, ché devo fare anche certe cose!’. Il peccato è la violenza”; “Mi sono fatto l’idea che l’unico vero peccato è la mancanza di ascolto dell’altro, la mancanza di carità. L’unico vero peccato è quando non faccio attenzione”.

16.04.2011 12:04 - Pastore Jens Hansen risponde:
Cara Una,

con il tuo intervento sposti la questione del bimbo che muore dal tema del peccato originale discusso da me e Frank alla cosiddetta teodicea, il riflettere sul Dio nascosto affermando che 'per il cristianesimo il problema è più complesso in quanto deve far coesistere la bontà di Dio e l'esperienza del 'bimbo che muore''.

Infatti, non c'è risposta, ci sono dei perché senza eco. La sofferenza umana che si concentra per esempio nel 'bimbo che muore' è comunque un tema molto presente nel cristianesimo. Come affrontarlo? Tu dici che il cristianesimo deve far coesistere la bontà di Dio e l'esperienza del 'bimbo che muore', e indichi così il campo su cui si gioca la questione, cioè il fatto che l'idea di Dio, il proprio modello di Dio 'condiziona' la risposta alla domanda del Dio nascosto.

Se il 'mio' Dio è un'entità morale, un legislatore che mi controlla e misura la mia vita a seconda il mio comportamento si arriva ben presto alla categoria della punizione che secondo me è crudele e poco adatta alla fede cristiana.

Se il 'mio' Dio è il Deus ex machina, un Dio interventista che entra solo in scena quando con le mie forze sono arrivato al limite, diventa un Dio inutile, perché non è riuscito a risolvere il problema, perché il bimbo è morto.

Se il 'mio' Dio è il buon Dio che abita nelle nuvole e quindi si trova al di là delle nostre esperienze umane, la questione rimane fredda e non tocca la mia idea di Dio.

Potremmo andare avanti con tanti altri modelli di Dio, ma ti confesso che non mi convincono tanto, e perciò ti presento il mio modello di Dio. E' il Dio d'amore, il Dio che cerca dall'inizio del mondo di relazionarsi con noi esseri umani, che ha una voglia sfrenata di entrare in un rapporto d'amore con noi, che fa di tutto per farlo, alla fine va incontro alla morte in Gesù, l'amore si veste di impotenza.

Ma proprio nella sofferenza di Dio trovo una via di affrontare la sofferenza mia e altrui, perché la vedo nella categoria della relazione, di un Dio non al di là delle mie esperienze umane, ma di un Dio in mezzo alla nostra esistenza, un Dio vicino che in Cristo ha sperimentato la morte, la disperazione della solitudine che essa porta 'Dio mio, perché mi hai abbandonato?'. Per questo Egli è empatico e mi vuole accompagnare anche nei momenti difficili fortificando le mie ginocchia e facendo sì che io possa affrontare la sofferenza anche attivamente.

03.04.2011 21:04 - una ha scritto:
Credo che tu abbia eluso la domanda di Frank semplicemente perché non c'è risposta davanti al dramma di un "bimbo che muore", cioè il cristianesimo semplicemente non sa darne un senso, la tua risposta vale solo per una vita normale. Se per l'ateismo è più semplice, in un mondo retto dal caso il "bimbo che muore" ha avuto il fato peggiore, per il cristianesimo il problema è più complesso in quanto deve far coesistere la bontà di Dio e l'esperienza del "bimbo che muore". Frank ha davvero toccato un punto importante e fondamentale. L'assurdo è che l'ateismo che ne dà una spiegazione intellegibile è disperato, il cristianesimo che sulla questione tace regala una speranza a chi deve attraversare una prova del genere. In questo assurdo voglio dire a Frank di cercare una risposta che non potrà che essere personale, che non potrà condividere con nessuno, e chiedo al Pastore di commentare la mia. ciao. Una

14.12.2010 11:12 - Pastore Jens Hansen risponde:
Caro frank,

è vero, nella nostra cultura da non più di 150 anni, vediamo i bambini con uno sguardo diverso, più romantico direi. L'infanzia per noi occidentali è un periodo in cui possiamo vivere o sogniamo di vivere serenamente, è un periodo della vita in cui pensiamo di avere in qualche modo conservato un'innocenza e per questo sollevi la domanda: ma come, la morte per un bambino di tre anni, un essere innocente?

Innanzitutto vorrei affermare, che parliamo della seconda 'forma' di morte, di cui fai cenno, la morte frutto del peccato. La prima morte, quella biologica, fisiologica, quella che fa parte della creazione che come materia ha un limite, penso che sei d'accordo, fa parte non solo di tutta l'umanità ma anche di tutta la creazione.

Con l'affermazione che un bambino non può essere messo alla pari ad un adulto tocchi tanti temi importanti della teologia, ma secondo me una questione in particolare, la questione del cosiddetto peccato originale, che fa di tutti gli esseri umani dei peccatori.

La questione nasce la prima volta con Tertulliano che parla di 'vitium originis'. Sotto Agostino d'Ippona si sviluppa. In contrasto con dei teologi che affermavano che una vita senza peccato fosse possibile, Agostino afferma: dopo il peccato di Adamo l'essere umano ha la sola capacità di 'non posse non peccare', non può quindi fare altro che peccare. Ed è Agostino che sviluppa il concetto di Paolo che sta nel versetto di Romani 6:23: il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. Infatti Agostino mette insieme la morte e il peccato parlando di mors animae, cioè del fatto che l'anima morta in me non riesce a dominare il corpo. Ricordo solo che anche in tempi più recenti la morte e il peccato fanno rima, vedi per esempio Kierkegaard, che parla del peccato come 'malattia mortale'.

Ma andiamo con ordine. La Riforma protestante mantiene la teologia del peccato originale ma toglie l'aspetto del destino che secondo i riformatori deresponsabilizza. Il peccato originale non è eredità di uno che ha peccato, ma essenza dell'essere umano stesso. Così il peccato originale non può essere più un alibi per il peccato attuale.

Cosa significa tutto ciò? Tento di spiegarlo con delle coordinate più moderne:

Parto dal teologo Paul Tillich che afferma: 'peccato originale significa che è proprio del peccato che accanto alla dimensione della responsabilità personale esiste una dimensione di un'universalità tragica.'

Tradotto per me vuol dire: visto che il peccato è una categoria relazionale e non morale e si manifesta nella nostra incapacità di vivere serenamente e autenticamente le relazioni della nostra esistenza, facciamo parte di una grande rete di morte e peccato. Noi siamo dei nodi in questa rete e contribuiamo alla 'cultura della morte' come attori, quindi con un ruolo attivo, e come vittime di peccato altrui. In questa rete si trovano tutti gli esseri umani, anzi, la parte della vittima la vive o meglio la muore anche la creazione. In questo senso anche un bambino di tre anni fa parte dell'umanità alienata da Dio.

04.12.2010 17:12 - frank ha scritto:
Paolo Ricca su Riforma scrive: "Ha ragione la scienza che documenta un fatto incontestabile – la morte precede il peccato –, e ha ragione Paolo che vede nella morte non già il fenomeno naturale che tutti conosciamo, ma l’alienazione dell’umanità da Dio «fonte della vita» (Salmo 36, 9), che pochi sanno discernere." A me risulta incomprensibile come si possa parlare di umanità, in quanto esistono uomini diversi, ognuno con la sua storia, e non avrbbe senso introdurre la morte per tutti. Umanità è un termine astratto, ma inserire ad esempio un bimbo di tre anni in una umanità alienata da Dio è senza senso compiuto. Ciao.

9.10.2010 08:10 - Pastore Jens Hansen risponde:
Caro Agnostico,

tutto dipende come si vogliono leggere i primi capitoli della Genesi. Chi li legge come storia interpreterà il peccato come una specie di malattia trasmessa da generazione a generazione. Questa però non è il modo protestante di vedere la questione.

I primi undici capitoli della Genesi vengono letti come storia delle origini, in tedesco Urgeschichte, non sono quindi storia in senso cronologico ma in senso qualitativo. Per dirlo breve, non siamo eredi di Adamo, ma siamo Adamo o almeno siamo come quell'Adamo raccontato nella Bibbia. Il peccato non è quindi trasmesso come una malattia, ma comunque appartiene all'essere umano. La Bibbia afferma che non esiste alcun essere umano senza peccato.

Questo apre orizzonti diversi di vedere e rivedere tutta la questione del peccato originale e del peccato stesso.

08.10.2010 14:10 - Agnostico ha scritto:
Da tempo sto facendo questa riflessione: e cioè la dottrina cristiana afferma che l'uomo è stato corrotto dal peccato, ovvero che la natura umana è corrotta per colpa del peccato originale, commesso dal primo uomo, Adamo, come narrato in Gn 3:1-7. Per colpa di uno solo tutti hanno peccato: " per la caduta di uno solo morirono tutti" ( Rm 5:15 ). Si presuppone quindi che questo peccato sia stato realmente commesso, da un uomo realmente esistito, o no? Altrimenti non avrebbe senso la trasmissione del peccato, giusto? Ma sappiamo bene che si accetta la teoria evoluzionistica, non ha senso parlare di un primo uomo, che non è quindi esistito. Allora il peccato originale non ha un fondamento storico. O sbaglio? Ciao a tutti

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