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DIALOGHI CON PAOLO RICCA
 
Si può essere cristiani senza credere nella trinità?

Come credente intendo essere una persona in ricerca, non però conformandosi ai dati acquisiti, che spesso hanno il sostegno dei dogmi, ma non quello delle indagini storico-esegetiche. Uno dei quesiti, tra i tanti, che desidero sollevare è quello relativo alla Trinità. Fonti mi dicono che la Chiesa valdese, nella sua confessione di fede del 1655, ha dato il proprio pieno assenso alla formula trinitaria, mentre in precedenza apparteneva alle Chiese Unitariane. Ora, nel Nuovo Testamento ci sono – è vero – formule trinitarie con la menzione esplicita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma non vi si legge una sola parola a favore dell’unità delle tre «persone» menzionate: manca insomma l’affermazione che queste tre «persone» costituiscono un’unità. E nessuno finora è riuscito a spiegarmi questa figura di tre in uno o uno in tre. La mia domanda è questa: può essere cristiano a pieno titolo chi non abbraccia la confessione di fede trinitaria? Non è forse vero che nel primo periodo del cristianesimo questo problema non sussisteva?
Giovanni Verbena – Torino

Il problema sussisteva, eccome! È esistito fin dagli albori del cristianesimo. Il problema era: come accordare la divinità di Gesù, creduta e confessata dai cristiani, con la divinità dell’unico Dio della fede ebraica? E come accordare la divinità di Gesù e del Padre con l’esperienza dello Spirito a Pentecoste, vissuta in tutto e per tutto come un’autentica esperienza di Dio? Per dipanare questo problema ci sono voluti più di tre secoli di discussioni accese e scontri teologici anche violenti, fino a che, nel concilio di Nicea del 325 fu stabilito come dogma, cioè come articolo di fede, la dottrina di Dio uno e trino insieme, nei termini seguenti: «Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. Ed in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre… E [crediamo] nello Spirito Santo…». Il concilio di Costantinopoli del 381 fece alcune aggiunte; la più importante riguarda l’articolo sullo Spirito Santo, che ora suona così: «[Crediamo] nello Spirito Santo, che è Signore e dà vita, che procede dal Padre, e insieme al Padre e al Figlio dev’essere adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti». Il dogma trinitario venne imposto a tutta la cristianità come legge statale dall’imperatore Teodosio con un editto del 28 febbraio 380, nel quale si dichiara che «secondo la disciplina apostolica e la dottrina evangelica noi crediamo un’unica Divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in uguale maestà e pia trinità». Coloro che non credono nel Dio trinitario sono giudicati nell’editto stesso «dementi e pazzi», porteranno l’infamia dell’ «eresia», i loro locali di culto «non potranno chiamarsi chiese» e su di loro cadrà non solo la «vendetta divina», ma anche la «punizione» dell’imperatore. Così, da quell’anno, non credere nella Trinità divenne non solo una posizione eterodossa, ma un crimine politico di prima grandezza, punito con la pena di morte. Negare la Trinità equivaleva a negare proprio il Dio cristiano, la cui tipica fisionomia trinitaria lo differenziava nettamente dal monoteismo ebraico e, a partire dal VII secolo, da quello musulmano.

Nella chiesa antica e in quella medievale il dogma trinitario non sembra essere stato messo seriamente in discussione, tranne che da alcuni mistici presso i quali la Trinità resta in ombra, pur senza essere negata. Lo fu invece apertamente nel Cinquecento da una folta schiera di «antitrinitari» (un nome per tutti: Michele Serveto, bruciato a Ginevra nel 1553); molti erano italiani, e tra questi i senesi Lelio e Fausto Socini (o Sozzini) che, in Polonia, diedero vita a una vera e propria Chiesa Unitariana, ma, dopo una fioritura durata alcuni decenni, dovettero soccombere al potere dei gesuiti, che nel 1658 ne ottennero l’espulsione. Benché perseguitato, il «socinianesimo» si diffuse, come diaspora, in vari paesi d’Europa e negli Stati Uniti, dove esiste tuttora una Chiesa Unitariana, che nel 1961 s’è unita alla «Chiesa Universalista d’America» dando vita a una «Associazione Unitaria Universalista» che conta circa 200.000 membri. Il nostro lettore sostiene che certe fonti attesterebbero che anche i valdesi sarebbero stati, all’origine «unitari». A me questo non risulta. La «Professione di fede» di Valdo, per quanto può valere, è trinitaria.

Ma veniamo ai quesiti che il nostro lettore pone. Sono tre: il primo è se la dottrina trinitaria sia biblica oppure no; il secondo è se sia o non sia possibile essere cristiani senza credere nella Trinità; il terzo è se sia o non sia possibile spiegare in qualche modo questa dottrina.

1. È un fatto che la dottrina della Trinità non si ritrova tale e quale nella Sacra Scrittura. La parola «trinità» nella Bibbia non c’è. Il primo teologo cristiano che l’ha adoperata, anzi – a quanto pare – creata è Tertulliano (ca. 155 – ca. 225). Ma soprattutto, la categoria-chiave della dottrina trinitaria, cioè «sostanza» (il Figlio e lo Spirito sono dichiarati «della stessa sostanza» del Padre), non è una categoria biblica. Quanto all’altra categoria ricorrente quando si parla di Trinità, e cioè «persona» («un Dio in tre persone»), è fuorviante perché ha oggi un significato ben diverso da quello che aveva nel IV secolo. Allora significava la maschera che l’attore portava sul volto per interpretare un personaggio. Oggi invece significa un individuo, un soggetto unico e irriducibile ad altro. Perciò, dire oggi «un Dio in tre persone» fa pensare a tre divinità, una accanto all’altra, introducendo così una forma larvata di politeismo. Questa infatti fu una delle accuse rivolte al cristianesimo da illustri pensatori pagani: di avere, con la dottrina trinitaria, fatto rientrare dalla finestra quel politeismo che aveva cacciato dalla porta. Perciò la teologia tende oggi, a proposito di Trinità, a sostituire il termine «persona» con «modi di essere». Concludo dicendo che il linguaggio tradizionale della dottrina trinitaria lascia effettivamente a desiderare e dovrebbe essere ripensato; il suo contenuto però è assolutamente conforme al messaggio cristiano. La dottrina trinitaria è biblica nella sostanza, se non nella forma, anzi è il modo migliore, a mio giudizio, di rendere conto e confessare il Dio della rivelazione ebraico-cristiana nella sua inconfondibile originalità.

2. Al secondo quesito – se sia o non sia possibile essere cristiani se non si crede nella Trinità – risponderei tendenzialmente di no. Non vorrei però ridurre l’essere o il non essere cristiano all’accettazione o meno di una dottrina, sia pure centrale come quella trinitaria. Perciò sospendo la risposta e al nostro lettore, che – così almeno sembra – non crede nel Dio trinitario, chiedo in quale Dio crede, quale Dio confessa. «Nessuno ha mai visto Dio –dice l’evangelista Giovanni –; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che lo ha fatto conoscere» (1, 18). È fondamentale che il Dio creduto e confessato dai cristiani sia quello rivelato da Gesù, e non un altro. Essere cristiani significa credere alla testimonianza di Gesù su Dio: chiamando Dio suo «Padre», si è rivelato come Figlio e come tale, al battesimo, ha ricevuto lo Spirito, che si è «fermato» su di lui (Giovanni 1, 32): il battesimo di Gesù, come ce lo descrivono gli evangeli, è stato un evento trinitario. È stato proprio Gesù a svelare con molta naturalezza, cioè senza forzature e senza minimamente rinnegare il suo monoteismo ebraico, la natura trinitaria di Dio, che non traspare solo dalle pagine del Nuovo Testamento, ma anche da quelle dell’Antico. Il Dio d’Israele, in tanti passi, è, per così dire, affiancato dall’«angelo dell’Eterno» (Esodo 3, 2!), che è il suo alter ego; in altri passi si parla addirittura di «un uomo» (Genesi 32, 24-32), che lotta con Giacobbe come controfigura di Dio, anzi come Dio stesso (v. 28!). E nell’Antico Testamento ci sono dei passi sullo Spirito Santo altrettanto «pentecostali» quanto quelli del Nuovo. Il monoteismo biblico è, per così dire, popolato da molte presenze e per quanto mi riguarda non conosco una dottrina di Dio più bella, più profonda, più accattivante e convincente della dottrina trinitaria. Ma essere cristiani, cioè credere in Gesù, significa anche, come lui, fare la volontà di Dio. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 7, 21). I cristiani si riconoscono dai frutti più che dalle dottrine. Non saremo giudicati sulla base delle dottrine, ma su quella della fede e delle opere. Concludo dicendo che la fede cristiana è trinitaria, ma che, come insegna Matteo (25, 31-46), si può fare la volontà di Dio anche senza credere nella Trinità.

3. È possibile, o no, spiegare questa dottrina, che nessuno ha mai spiegato al nostre lettore? Spiegare forse no, ma illustrare forse sì. Ci provo. Ciascuno di noi è, al tempo stesso molte cose, pur essendo e restando una singola persona. A esempio, posso essere, al tempo stesso, figlio, padre e zio. Oppure piemontese, italiano ed europeo. O ancora credente (o non credente), cittadino (o immigrato), operaio (o contadino). E così via. Siamo, pur essendo uno, tante cose secondo le tante relazioni che compongono la trama della nostra vita. Ciascuno di noi è, al tempo stesso, uno e molteplice. Questo non compromette l’unità della persona, anzi l’arricchisce. Così Dio è uno e tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, tre modi diversi di essere l’unico Dio. Non c’è separazione, né confusione, né contraddizione. C’è invece comunione. La dottrina trinitaria, in fin dei conti, vuol dire proprio questo: che Dio è comunione. E questa – mi sembra – è una buona notizia.

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 26 febbraio 2010

 
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