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40 anni di pastorato femminile di Piera Egidi Bouchard |
Quello che oggi appare come un dato acquisito è in realtà il frutto di un lungo itinerario che ha richiesto sofferenze, capacità di mediazione e tanta perseveranza da parte delle donne |
Un Sinodo davvero straordinario si è aperto quest’anno, nella gioia della «Giornata Giovanni Miegge», la tradizionale giornata teologica posta «in anteprima» all’inizio dei lavori, dedicata alla ricorrenza importante dei 40 anni dalla prima consacrazione delle donne pastore: le prime sono state Carmen Trobia e Gianna Sciclone.
Una densa e puntuale carrellata storica sul complesso percorso ormai sessantennale che ha portato alla storica decisione, avvenuta poi nel Sinodo del 1962, è stata presentata dalla pastora Erika Tomassone, in una «introduzione parziale e partigiana» – cioè esplicitamente «al femminile», secondo le sue parole – sul viaggio compiuto dalla chiesa valdese in quei lunghi anni. Significativamente è nel fervore di ricostruzione della democrazia italiana nei primi anni del dopoguerra che venne la richiesta al Sinodo del 1948, e significativamente venne dal distretto della Sicilia e della Calabria. Le nostre chiese non sono certo impermeabili ai mutamenti della società civile – una storia in parallelo e in un intreccio ancora tutto da studiare, come è stato osservato da più parti e auspicato poi nel dibattito –, ed erano gli anni della nostra Costituzione, e del voto alle donne, di cui lo scorso anno in tutt’Italia abbiano celebrato il sessantennale.
Questa richiesta al Sinodo del 1948 produce la nomina di una «Commissione per i ministeri femminili», che nel 62, dopo il lungo percorso, diventerà «Commissione permanente per i ministeri», e già questo sarà una conquista. Nel 1949 questa commissione produce un importante documento, la cui parte più interessante e decisiva fu scritta dal grande teologo Giovanni Miegge, che esaminò come non ci siano ragioni sufficienti – dottrinali, bibliche, storiche – per escludere le donne dal pastorato.
Dal 50 al 54, però, «è come se la questione del ministero delle donne entrasse in un tunnel», perché il Sinodo del 50 permette sì alla Facoltà di teologia di accettare le iscrizioni di studentesse, ma la discussione successiva si «incarta» sul ruolo diaconale per le donne, e nel 54 il Sinodo delibera l’istituzione del ruolo delle «assistenti di chiesa», con compiti ben delimitati, e licenziabili con il matrimonio. La svolta è nel 60, e viene dal «caso» di Carmen Trobia a cui viene affidata una piccola chiesa, e dal Congresso delle donne valdesi e metodiste (Ffvm), che chiede in un ordine del giorno il riconoscimento del ministero pastorale femminile: «È la prima volta che un gruppo organizzato di donne si esprime ufficialmente».
Due anni dopo, la relazione della «Commissione permanente per i ministeri», in un denso documento che varrebbe la pena poter fare ancor oggi ampiamente circolare, risponde punto per punto alle possibili obiezioni all’istituzione del pastorato femminile. Ma ci vorranno ancora 5 anni prima che avvenga la prima consacrazione di donne, e il corteo sinodale del 67 sarà aperto da Carmen Trobia e Gianna Sciclone, che noi oggi ricordiamo con gioia e che ringraziamo. Il pastorato femminile oggi è un dato acquisito, tanto che la domanda di un bambino, che ha sempre visto sul pulpito una donna predicare – «Ma io da grande posso andare sul pulpito a parlare?» – sintetizza con allegria il cammino intrapreso.
Una dotta e complessa relazione della teologa cattolica Serena Noceti (che qui è impossibile sintetizzare per ragioni di spazio), docente di Teologia sistematica alla facoltà teologica dell’Italia centrale e autrice di numerosi studi, ha notato come questo percorso significhi certo 40 anni di vita di una chiesa, ma anche di storia della società italiana, in cui si assiste a importanti trasformazioni nella condizione femminile (pensiamo anche solo all’ingresso delle donne in magistratura, che è del 1965).
L’irruzione delle donne nel campo del ministero pastorale provoca un profondo cambiamento, in cui tutte le identità dei singoli sono ridefinite, e anche quelle delle comunità: «Con la consacrazione delle donne al pastorato è iniziato un processo irreversibile». ’è stato quindi il superamento di una «matrice monosessuata nel pensare l’identità dei soggetti ecclesiali»: non è più possibile identificare il pastorato nella sua forma maschile, «perché non è più l’unica». Le donne pastore godono di una «posizione simmetrica» rispetto agli uomini, «nel riconoscimento reciproco di status».
Ma come le donne pastore vivono il loro essere soggetti di autorità e di potere? Ed esiste un «nodo femminile» di vivere ciò? Alcune ricerche sociologiche individuano per le donne uno stile più egualitario, più relazionale e intuitivo, più aperto alla cooperazione e al lavoro di équipe, «in una leadership di servizio più che di controllo». E anche i modi femminili di arrivare al potere («competenza e abnegazione») e di gestirlo («concretezza e disponibilità») sono molto diversi dai modi maschili. Le donne sono segnate da una storia di marginalità, e la non aggressività (o «anaggressività») non è una caratteristica femminile innata, «ma è il prodotto di un processo culturale che ha premiato certe caratteristiche e ne ha rimosso altre». Su questi temi varrebbe la pena di riflettere a parer mio più a lungo, anche perché nel dibattito seguente è emersa con grande franchezza da parte maschile la «paura» del femminile da parte degli uomini, e anche la necessità di un profondo lavoro collettivo di analisi e di superamento.
Anche la Chiesa cattolica e il campo dell’ecumenismo, ha concluso Serena Noceti, devono essere interrogate da questa forma inedita di chiesa, determinata dall’irruzione delle pastore, che Schüssler-Fiorenza chiama «chiesa di eguali», ma intanto la relatrice nota «l’apporto di profezia» che ci viene da questo fatto storico, in quanto presenze che «si situano sulla cresta delle contraddizioni», come dice la studiosa Braidotti, offrendo un apporto unico per la trasformazione anche in ulteriori ambiti, riaprendo anche in campo cattolico «il capitolo mai chiuso dell’ordinazione delle donne al diaconato, che porrebbe le donne nella relazione costitutiva con la chiesa locale, nel servizio dell’apostolicità dell’annuncio che fa la chiesa».
Tratto da Riforma del 7 settembre 2007 |
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