È uscito a settembre dalla Claudiana il n. 7 di Quaderni laici, il quadrimestrale pubblicato dal Centro di documentazione, ricerca e studi sulla cultura laica «Piero Calamandrei» –, Onlus in collaborazione con la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni e l’associazione «Libertà e Giustizia». Si intitola "Quale eguaglianza per quale libertà? Da Thomas Hobbes ad Amartya Sen" e raccoglie le lezioni tenute al seminario di «Libertà e Giustizia» che si è svolto tra il 16 e il 18 settembre 2011 nel quadro suggestivo e ricco di memorie del Castello dei Conti Guidi di Poppi, in provincia di Arezzo. «Libertà e Giustizia», ricorda Franco Sbarberi nell’introduzione («La libertà eguale ha un futuro?») si ispira al patrimonio ideale che Bobbio in un articolo del 1986 sintetizzò come permanente esigenza di «un movimento che sia insieme liberale e socialista, che non ripudi la grande tradizione liberale dei diritti dell’uomo e la prolunghi nella continua e mai conclusa battaglia per l’emancipazione dei non liberi e per l’eguagliamento dei non eguali». Il tema Quale eguaglianza per quale libertà? è svolto da studiosi di primo piano della filosofia politica e della storia del pensiero politico in modo rigoroso ma accessibile, per cui il quaderno potrà essere utilizzato in qualsiasi sede di formazione politico-culturale.
Ermanno Vitale mette a confronto due classici del contrattualismo moderno: Hobbes e Locke. Hobbes è ossessionato dal problema dell’ordine e il suo Stato- Leviatano ha tratti indubbiamente assolutistici ma il suo pensiero è alla base della rivoluzione copernicana moderna che vede il prius dell’associazione politica negli individui e non nella comunità organicistica. Locke poi teorizza lo Stato limitato e il diritto di resistenza (preziosa indicazione anche oggi, contro le soluzioni tecnocratiche alla crisi della democrazia). Mauro Barberis analizza Constant, Tocqueville e Stuart Mill per negare lo stereotipo che identifica il liberalismo classico con il liberismo economico (forse si poteva dare spazio anche a una relazione sulla discussione tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi in proposito). La lezione di Tocqueville è riesaminata approfonditamente da Regina Pozzi che illustra la sua idea di fraternità tutta politica che deve legare i cittadini se non vogliono disperdersi nell’atomismo democratico che allenta i vincoli sociali.
Marco Revelli, ricordando con una quantità di dati impressionante le crescenti diseguaglianze nel mondo globalizzato, tratta il «problema Marx» per prendere le distanze dall’ottimismo industrialista e dalla filosofia della storia della vulgata marxista ma anche per sottolineare la «non esaurita funzione (quantomeno descrittiva se non progettuale) » di Marx in una situazione in cui «la diseguaglianza è arrivata a erodere e a sfidare così mortalmente la libertà».
Andando controcorrente – quando gli studi marxiani ridimensiona i Manoscritti economico-filosofici del 1844 riducendoli a un cumulo disorganico di appunti sopravvalutati dalle letture filosofiche del Novecento – Revelli riscopre la radicalità critica di quest’opera pubblicata in Italia poco dopo la fine della guerra, prima da Bobbio e poi da Galvano della Volpe. Nadia Urbinati si sofferma invece su Stuart Mill proponendo una originale lettura del saggio sulla soggezione delle donne «incentrata sulle categorie classiche di dispotismo e della polis come suo contrario ». L’ideale milliano di società come cooperazione tra persone autonome e indipendenti è alla base anche della sua concezione dell’amicizia matrimoniale come «unione di due persone diverse ed eguali per comunione di interessi e di gusti».
Sulla nozione di politica che ebbe Hannah Arendt, come libero agire insieme in uno spazio condiviso e non come governo e dominio, si sofferma suggestivamente Olivia Guaraldo, lasciando ai margini l’ostilità di Arendt per l’inquinamento dell’autentica dimensione politica da parte della dimensione socio-economica (il che, se si vuole coniugare libertà e giustizia sociale, non è un piccolo problema).
Michelangelo Bovero svolge una lezione sul modello liberalsocialista in Bobbio, che è anche un’analisi concettuale di grande chiarezza su che cosa possa significare oggi una posizione che voglia «affrontare, ma questa volta su scala globale, planetaria, il problema della garanzia congiunta dei diritti fondamentali di matrice sia liberale sia socialista».
Bobbio non si occupò molto di Rawls, il cui Liberalismo politico è finemente analizzato da Alessandro Ferrara, che esamina anche sinteticamente ma con efficacia le condizioni avverse alla democrazia nella società odierna. La prospettiva del «liberalismo egualitario» del primo Rawls – quello della Teoria della giustizia – è confrontata con la teoria di Habermas da Stefano Petrucciani, a vantaggio del primo, perché Habermas pensa i diritti sociali come inferiori e subordinati rispetto ad altri e più fondamentali diritti (ma ne sono anche «condizioni di effettività», afferma Petrucciani). Su Rawls torna anche l’ultimo saggio, di Salvatore Veca, che ha introdotto in Italia il filosofo politico statunitense, e in questo scritto lo colloca in rapporto ad altre influenti teorie – da Nozick a Walzer, ai comunitaristi, ad Amartya Sen – ponendo infine il problema dei problemi: «come passare da una teoria della società giusta a una teoria del mondo giusto»? La mondializzazione richiede «una teoria senza frontiere», dice Veca.
Se questa carrellata da Hobbes a Amartya Sen – che ho tentato di riassumere in poche righe inevitabilmente approssimative – ha stancato il lettore, questi può riposarsi e prender fiato leggendo la bella intervista sulla laicità di Palmira Naydenova a Gustavo Zagrebelsky in appendice al volume, ricca non solo di dottrina ma anche del prezioso racconto autobiografico del costituzionalista torinese (nato a San Germano Chisone da madre valdese e da padre ortodosso), ora presidente onorario di «Libertà e Giustizia».
Tratto da Riforma del 26 ottobre 2012 |