Chiesa evangelica valdese - home page
sinodo where to find us otto per mille
Stampa questa paginaStampa questa pagina
 
SUSSIDI
 
In libreria
di Alberto Corsani

Il caso o la speranza? Un dibattito senza diplomazia, Garzanti, 2013, pp. 153

La recensione apparsa su «La Repubblica» (19 marzo) definisce il libro in termini sportivi: la partita fra il laico Flores D’Arcais e il teologo cattolico Vito Mancuso («Il caso o la speranza? Un dibattito senza diplomazia», Garzanti, 2013, pp. 153) sarebbe come una partita di calcio, i cui due autori, l’un contro l’altro schierati, riportano un risultato nullo, 0-0. Ma qui non si tratta di convincere l’interlocutore; si tratta di convincere il lettore e allora l’impressione non è quella di un dialogo in pareggio, ma quella di una resa della fede agli strumenti che sono propri della controparte. Vediamo perché.

Se è abbastanza chiaro che il direttore di «Micromega» Flores D’Arcais sostenga un punto di vista improntato all’evoluzionismo darwiniano e all’idea di casualità che portò allo sviluppo dell’«homo sapiens sapiens», è logico aspettarsi da parte di un teologo, per quanto considerato «alternativo», le ragioni della fede. Invece più che altro il dibattito si sviluppa intorno all’identificazione che la parte laica svolge tra religione e superstizione: un argomento non particolarmente nuovo (Euripide, Lucrezio); la «controparte» cristiana, come già in precedenti testi, si attesta su due posizioni che lasciano perplesso il lettore credente. Intanto l’annosa sovrapposizione e confusione tra fede e religione, che invece non sono equivalenti. E soprattutto quello che più lascia delusi è che la «difesa» della religione venga allestita su basi esclusivamente razionali: giocando, cioè, sul terreno dell’interlocutore; cercando di dimostrare perché il tentativo di dare una risposta in termini di senso alla nostra esistenza, al nostro essere su questa terra, non sia cosa irrazionale né inutile. E su questo terreno ha buon gioco il razionalista a dimostrare le proprie ragioni, perché solo queste ultime sono scientificamente dimostrabili.

Lascia perplessi la rinuncia, da parte del teologo, a porre le ragioni della fede «in quanto tale». A fare suo quel credo quia absurdum che invece non arriva. Mancuso in effetti chiarisce bene la propria visione: «La religione (...) nasce dall’unione dell’attenzione etica dentro di me con il principio ultimo del mondo» (p. 53); Flores non si convince, ma non ci convinciamo neanche noi, che ci saremmo aspettati «altro». Non una giustificazione razionale della religione, in virtù del logos giovanneo (ma le implicazioni e le interpretazioni esegetiche del «prologo» al Vangelo di Giovanni sono numerose e complesse! – e comunque a questo proposito viene alla mente l’insistenza con cui, in reiterate occasioni, papa Ratzinger ha sottolineato la razionalità del cristianesimo, anzi ha ribadito come solo il cristianesimo possa dare vero valore alla razionalità), ma un’affermazione schietta, convinta dei motivi per cui la fede può albergare nell’animo di ciascuno e ciascuna di noi, anche se pare un assurdo, anche se non dimostrabile. Perché non dire apertamente: «credo, nonostante tutto»?

Vito Mancuso non da oggi ha preso le distanze dalla linea «Agostino-Pascal-Kierkegaard», a cui imputa di aver tenuto l’umanità sotto il giogo del senso di colpa e del peccato. È una posizione non priva di buone ragioni, ma è anche una polemica che difficilmente possiamo condividere, perché in questa «linea ideale» i protestanti si ritrovano pienamente, e anzi sono soliti inserirvi anche Lutero (che non sarebbe esistito senza sant’Agostino) e infine Barth: ma, appunto, si tratta di accettare l’irruzione nelle nostre vite – come l’hanno registrata e accettata i personaggi di cui sopra – di una parola che scardina e travolge le categorie, che fa saltare gli schemi e sovverte ogni teoria: che questo approccio culturale venga respinto da un filosofo ateo non stupisce; anzi, ha buon gioco Flores a sottolineare, rivolgendosi all’amico-oppositore, che credere in Dio è «una tua necessità esistenziale. il tuo bisogno psicologico» (p. 112): certo che è così, è così per ognuno di noi, è una necessità a cui chi ha fede si adegua con gioia. Lo stesso Mancuso osserva che «vi sono oggetti che possono essere dominati dall’intelletto umano e altri che non lo possono essere» (p. 127): ma perché dirlo come di straforo, per contrastare l’«avversario»? Perché non rivendicare la propria gioia di credere? «Io non mi vergogno del Vangelo» (Rom. 1, 16): perché questa parola non ha cittadinanza una pagina sì e una no? Perché ridurre il confronto-scontro, che tanti risvolti interessanti ci propone in materia etica (gli autori sono abbastanza concordi nel rifiutare dogmatismi e rigidità normative), al modo di comportarsi, in funzione del bene, senza prendere in considerazione la forza della Parola biblica? Certo, la Bibbia è la grande assente da queste pagine, e il risultato, se si vuole riprendere il paragone sportivo, non è un pareggio, ma un due a zero per le ragioni della scienza (che mai contesteremo e sempre sosterremo contro ogni oscurantismo) e per quelle della razionalità: a zero purtroppo rimangono le ragioni del sentimento e della fede. Autogol?

18 aprile 2013

 
Cerca nei documenti:
documenti sinodali
materiali di studio
sussidi
ordinamento valdese

   
© 2009 Chiesa Evangelica Valdese