Pietro è morto martire a Roma, sulla sua tomba è stata costruita la basilica di S. Pietro in Vaticano, è stato il primo papa e quello attuale è suo successore alla guida della Chiesa. Di vero in tutto questo: nulla. Falso al 60%, il restante molto ipotetico.
Vescovo di Roma no, perché il ministero apostolico è il fondamento della Chiesa e non ha successione e di conseguenza un apostolo non può essere vescovo e a quanto risulta l’episcopato prima di essere monarchico era collegiale, esercitato cioè da più ministri.
La tomba non si è mai trovata, tutto si riduce a un’edicola in un cimitero pagano in Vaticano, a qualche graffito di difficile interpretazione su un muro.
Ma è la stessa venuta a Roma che resta nel mondo delle ipotesi. Emerge dalla tradizione in tempi antichi ma non è suffragata da elementi certi. La prima epistola di Pietro, quasi certamente opera di un credente influenzato dalla teologia di Paolo, non menziona Roma ma Babilonia, è un riferimento geografico o simbolico? Potrebbe essere un modo per dire Roma in un’ottica di condanna come nell’Apocalisse, ma appunto "potrebbe" essere.
Il magistero petrino e la successione apostolica, come la Donazione di Costantino, è dunque una creazione teologico giuridica non un dato scritturale; si colloca nella storia e risponde a interessi storici molto precisi: puntellare il potere della monarchia papale.
Giovanni Miegge aveva affrontato questi temi nel 1947 nello stile pacato ma fermo che gli conosciamo; Carlo Papini riprende l’argomento e lo tratta corredandolo con una ricca documentazione e argomenti puntuali.
Il libro (G. Miegge – C. Papini, Pietro a Roma, Claudiana, 2006), che raccoglie i due contributi, non farà cambiare opinione a Benedetto XVI, che queste cosa le sa, né ai suoi fedeli in piazza san Pietro, che essendo spesso della stessa stoffa dei lettori di Dan Brown, continuano a scambiare le leggende con la realtà, ma rinfrescherà la memoria agli evangelici e forse porrà qualche utile interrogativo a italiani curiosi.
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