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IL VANGELO OGGI
 
La menzogna
di Angelo Cassano

«Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro»
(Isaia 5, 20)

La diffusione della menzogna pubblica e privata è una delle questioni cruciali del nostro tempo. In una perversa spirale, la menzogna si alimenta di altre menzogne. Ombre fittizie sostituiscono gli eventi. Quel che è grave non è solo l’inveterata abitudine dei media ad inventare, mentire, contraffare tutto, ma anche il contagio che si è esteso a tutta la società. La menzogna è familiare, quasi scontata. È la maledizione di un linguaggio che nasconde o cambia il significato delle parole, per modificare la percezione della realtà, disinteressandosi della corrispondenza tra pensiero ed essere, tra forma e sostanza. È la maledizione di un linguaggio che inganna, spacciando l’omologazione come libertà e l’indipendenza di giudizio come disvalore. È la maledizione di un linguaggio che non comunica verità, ma che distorce, destabilizza, disorienta, crea diffidenza e condiziona pesantemente la vita personale e sociale.

È difficile coltivare la fiducia quando il linguaggio è manipolato e contraffatto per mascherare e nascondere la verità. È difficile fidarsi quando la menzogna, elevata a sistema, diventa il furto quotidiano della fiducia. È difficile superare la diffidenza, quando le promesse non sono mantenute, quando le aspettative sono tradite, quando gli impegni sono palesemente disattesi. Eppure, senza che si abbia la pretesa di poter dire la verità dappertutto e su tutto, è necessario cercare di porre un argine alla “cultura della menzogna”. Per quanto a volte i confini siano labili, non dobbiamo assecondare chi platealmente e senza remore inverte il male col bene, la notte col giorno, l’amaro col dolce.

Abbiamo bisogno di creare una rete di fiducia. Non si può vivere senza fiducia. Come sostiene il sociologo tedesco Niklas Luhmann «senza fiducia non potremmo neppure alzarci dal letto la mattina. Saremmo assaliti da una paura indeterminata che bloccherebbe la nostra esistenza». Ma la fiducia non è cieca, non spegne il lume della ragione. È una fiducia che verifica con i fatti la veridicità della parola. Perché la fiducia non venga tradita e non si tramuti nell’insidioso vortice della diffidenza, è necessario che nella reciprocità della comunicazione le parole rispettino la verità dei fatti. Non bisogna scomodare il principio di «non-contraddizione» di Aristotele per comprendere questa elementare verità che il testo di Isaia pone alla nostra attenzione: l’oscurità non può essere luce, il male non può essere chiamato bene, l’amaro non può essere smerciato come dolce. E questo è possibile solo se, per il bene comune, la comunicazione viene fatta con trasparenza ed è animata dal rispetto per il prossimo. Solo l’esperienza del valore di autenticità della parola può contrastare il condizionamento e la menzogna spacciata per verità. Solo la verità ci rende liberi.

Tratto da Riforma del 23 ottobre 2009

 
   
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