Molte volte la parola del Signore è per noi una preziosa
fonte di consolazione nei nostri momenti di angoscia e di difficoltà.
Ci assicura dell'amore di Dio e ci rende certi della sua azione in nostro
favore. E ciò lo accettiamo volentieri, e volentieri ascoltiamo
la voce del Signore. Tutto cambia nel momento in cui ci rendiamo conto
che la stessa parola di protezione, consolazione e misericordia ha immediatamente
delle pretese sulla nostra vita. La prima pretesa è quella di essere
costantemente e assiduamente ascoltata, la seconda (in ordine causale,
ché avviene contemporaneamente alla prima) è quella di essere
messa in pratica, cioè di diventare riconoscibile nella vita dei
suoi ascoltatori e nelle diverse scelte che la vita comporta. Non perché
la nostra vita verifichi la verità della parola del Signore, ma
perché questa parola pretende di essere, fino in fondo e senza
sconti, parola per noi.
Questo cammino dell'ascolto ha due limiti, due barriere
al di là delle quali si è fuori strada. La prima è
la sottomissione della volontà di Dio alla volontà umana.
Detto in prosa: da noi chiunque può fare tutto. La libertà
di figli di Dio diventa libertà della volontà umana, libertà
di cercarsi i punti di riferimento che più aggradano, libertà
di fare solo ciò che si sente, come se il nostro cuore fosse un
affidabile e inesauribile pozzo di bontà e verità. Questo
peccato rischia di spegnere l'ascolto. La parola non viene più
sopportata: è indomabile, e quando afferma il diritto di Dio sulla
nostra vita e umilia il nostro orgoglio, brucia troppo per essere ascoltata.
L'altra barriera da non superare è l'inaridimento della risposta
credente in una precettistica che non distingue più il fondamento
dalle cose secondarie, proprio perché imprigiona la libertà
della parola nel modo di metterla in pratica. Così la parola viene
accolta nella misura in cui conferma il mio modo di metterla in pratica.
Questo mio modo diventa il vero canone di verità. Ecco il settarismo.
C'è poi la possibilità di camminare all'interno
del sentiero della Parola, non deviando né a destra né a
sinistra. Questa è la via del discepolato. Il dialogo con Dio,
l'ascolto della sua parola, la preghiera, il cammino gioioso e duro verso
di lui, in una vita che vuole essere conformata e riformata alla scuola
della sua parola di verità e di vita. Ma la parola "discepolato"
è cugina, o forse addirittura sorella della parola "disciplina".
Una disciplina che riconosca sempre di più a Dio e alla sua parola
il solitario primato sulla nostra vita e allo stesso tempo che eviti di
ridurre e di assimilare la sua verità nei ristretti termini della
nostra comprensione e della nostra percezione. Esiste quindi una terza
via tra lo sbracamento e la caserma. Una via stretta, in cui la libertà
della parola di Dio diventa libertà del suo ascolto e della sua
pratica zelante e autentica, ma mai certificante e assoluta. La via del
discepolato e della disciplina. |