Quell'uomo con la mano paralizzata che Gesù aveva
chiamato a mettersi in mostra al centro della sinagoga con la mano stesa
fu inaspettatamente coinvolto nella missione. Era andato lì per
incontrare dei fratelli, per ascoltare la lettura della legge e la spiegazione
del rabbino e uscendo di casa non poteva pensare che il maestro lo avrebbe
posto al centro dell'attenzione e che la sua vita sarebbe cambiata proprio
quel mattino: infatti, dopo che ebbe steso la mano in mezzo all'assemblea
e tutti poterono vedere la sua infermità, la paralisi scomparve.
Quello era un giorno di sabato e gli occhi di tutti erano puntati su Gesù
perché tutti volevano vedere che cosa avrebbe fatto, ma proprio
per questo l'uomo era stato chiamato al centro in modo che tutti potessero
constatarne la guarigione. Questa fu la cosa importante.
Succede ormai quotidianamente che la televisione e i giornali
mettano in mostra le tragedie e le infermità che colpiscono la
gente. Le immagini del dolore e della disperazione di individui, di famiglie,
di popoli interi sono sbattute violentemente nelle nostre case talvolta
con cattivo gusto e violando la dignità delle persone. Spesso le
immagini sono anche funzionali all'esibizione della bravura, della pietà,
dell'abnegazione di coloro che portano soccorso a chi è colpito,
facendoci dimenticare che talvolta proprio i salvatori sono anche responsabili,
in qualche misura, di ciò che è accaduto. Dai giornalisti
e operatori televisivi alle forze dell'ordine, dai politici ai funzionari
di organismi e membri di associazioni di volontariato tutti, o quasi,
fanno un lavoro encomiabile e la storia recente mostra che esso è
anche molto rischioso. Ma se l'informazione ha le sue esigenze e aiuta
addirittura a creare eroi, non va dimenticato mai che al centro di tutto
c'è soprattutto "l'uomo dalla mano paralizzata".
Il nostro mondo è effettivamente popolato da milioni
di uomini e donne che aspettano guarigione e liberazione. E sono sempre
più numerosi coloro che si dedicano in vari modi ad andare a cercarli,
a farli alzare e stendere la mano paralizzata per alleviarne le sofferenze
e combattere le cause che ne sono all'origine. Sono uomini e donne "in
missione", ma sono anche "missionari"? Il termine "missione"
è usato oggi per indicare un incarico particolare, spesso di tipo
professionale fuori sede, anche molto ben retribuito. Missione implica
che qualcuno sia mandato, cioè sia missionario. Ma, si sa, questa
parola non si usa, perché il suo significato contiene una connotazione
religiosa ed è pure legata al colonialismo del passato. Nel linguaggio
corrente essere missionario significa poi anche sacrificarsi, rimetterci
sul piano economico e in definitiva avere idee anacronistiche. Tuttavia
la missione della chiesa è innanzitutto missione di Dio e, se è
Dio a mandare, non sarà sbagliato pensare che "tutti"
sono mandati e non soltanto i "religiosi". Forse non tutti i
"mandati" hanno una consapevolezza evangelica, ma Dio ci ha
abituati a utilizzare per i suoi progetti anche gli increduli. |