Con che coraggio potremmo mai ripetere questa esortazione di Gesù ai giovani d’oggi, la cui disoccupazione, secondo le ultime statistiche, è «al livello massimo degli ultimi 6 anni: quasi uno su tre non trova lavoro, e più della metà quelli che lo trovano precari»? Eppure, quelle parole dovevano avere una loro efficacia reale se uomini come Matteo, Pietro, Andrea e tanti altri avevano lasciato lavoro, casa, famiglia per seguire un rabbino che «non aveva dove posare il capo». Anche se venate di poesia («guardate gli uccelli del cielo, i gigli dei campi») non erano le fantasie di un sognatore, bensì l’epilogo del cosiddetto «discorso della montagna», rivolto in primo luogo ai discepoli ma anche alla folla che lo ascoltava.
GesÙ annuncia il grande progetto di Dio per l’umanità e chiama tutti e ognuno a «convertirsi», a cambiare vita, a ribaltare le regole di una condizione umana segnata da profonde ingiustizie: potenti giù dai troni, riscatto dei poveri, liberazione degli oppressi, fame di giustizia, amore incondizionato per il prossimo sono alcuni aspetti di questo progetto che Gesù chiama Regno di Dio. È all’interno di questo progetto che diventa credibile la liberazione dalle sollecitudini ansiose. «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e le altre cose vi saranno sopraggiunte»: prima realizzate la giustizia e poi vedrete che così come Dio nutre gli uccelli e veste i gigli, la sua creazione può dare cibo e vestiti per tutti. Lo aveva ben compreso la prima comunità cristiana che, racconta il libro degli Atti, aveva attuato una comunione dei beni che venivano distribuiti fra tutti «secondo le necessità di ciascuno».
Certo, fu un’esperienza limitata nel tempo, così come è vero che finora le esperienze storiche destinate nelle intenzioni a realizzare delle società in cui a ciascuno fosse dato secondo i suoi bisogni, hanno tradito le aspettative. Ed è qui che si gioca la nostra fede nel Regno di Dio, che non intendiamo derubricare a fiducia puramente umana nelle «magnifiche sorti e progressive». Il nostro è un cammino travagliato, che si snoda dentro la storia degli uomini, con le sue conquiste e le sue sconfitte. Ma proprio perchè crediamo che Dio è fedele alle sue promesse e porterà a compimento il suo progetto noi non cesseremo mai di lottare per un futuro in cui giovani e non giovani possano davvero vivere senza sollecitudini ansiose, in una società di eguali, giusta e solidale.
E la nostra fede non ci separa dagli altri che condividono questa lotta. Io mi commuovo quando, durante le tante manifestazioni in cui siamo presenti per difendere valori che, nella nostra comprensione, fanno parte del progetto di Dio, al nostro striscione di chiese evangeliche si affianca uno striscione di altri in cui si legge: «un mondo diverso è possibile». Sì, l’ingiustizia non trionferà per sempre.
Tratto da Riforma del 16 luglio 2010 |