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IL VANGELO OGGI
 
Avvento I: Elisabetta
di Giorgio Tourn

Luca 1: 39-45

«39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda, 40 ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo, 42 e ad alta voce esclamò: "Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno! 43 Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? 44 Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo. 45 Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento"».

L’Avvento è nelle chiese cristiane il tempo che prepara Natale. Solo l’evangelista Luca dedica alcune pagine a questo periodo della storia sacra. Lo fa intrecciando le vicende di due donne Maria ed Elisabetta (Luca 1:39-56).
All’annuncio della nascita di suo figlio, Gesù (Luca 1: 26-38), Maria lascia la sua residenza a Nazaret e si rifugia, presso la famiglia di Zaccaria ed Elisabetta, sua parente, sui monti di Giuda. Perché questo ritiro, che ha tutto il sapore di una fuga ("in fretta" dice il testo), da questa coppia di anziani, in una località probabilmente isolata? Non viene detto; è nello stile degli evangelisti non dilungarsi ad approfondire le situazioni e le esperienze, non fanno analisi psicologiche e forse la densità del loro racconto viene proprio da questa assenza di indagini e di ipotesi.

Maria ed Elisabetta (Giotto)La Maria di questo testo non è la giovane aureolata, dal volto serafico, con le mani giunte e lo sguardo al cielo delle annunciazioni tradizionali, ma una ragazza impaurita che non sa cosa pensare e fare, la cui vita è terremotata, che cerca conforto e consiglio; ha risposto all’angelo:"sono la serva del Signore sia fatta la volontà di Dio" ma sembra rendersi conto solo ora delle conseguenze di questa dichiarazione, il voler obbedire al Signore e fare la sua volontà sconvolge la vita di ogni creatura, tanto più in un caso come il suo di servizio al massimo grado.
Da Elisabetta però trova più che conforto, conferma. Aveva prestato fede al messaggio angelico, grande esperienza era stata la sua, di credente, ma come tutte le esperienze umane era oggetto di dubbio e incertezza: proprio sicuro che non si fosse trattato di un sogno, di una allucinazione?

Ora il messaggio dello Spirito si ripete per la seconda volta, e in modo imprevisto. Ne è strumento Elisabetta, ma non lei, le sue parole di donna pia e credente, ricca di esperienza ma il suo corpo anzi neppure quello ma il feto che si agita nel suo seno. È anche lei incinta, in modo inatteso quasi miracoloso data la sua sterilità, di quello che sarà poi il battista, il precursore del Cristo, e interpreta il sussulto di lui come una risposta al saluto di Maria. Sembra quasi che nelle tenebre del corpo materno egli inizi il suo ministero profetico.
Ciò che radica Maria nella sua vocazione e certifica la voce dell’angelo è il sussulto di quel corpo nel seno di Elisabetta. Può l’agitarsi di un feto fondare la fede? Siamo ai limiti dell’irrazionale, si dirà, perché la fede è tutta irrazionale. Chiaro e semplice, fin troppo perché la ragione e il buon senso spiegano solo se stessi non la realtà; certo il corpo di Elisabetta non è prova di nulla ma basta alla ragazza.

Ne consegue che mentre all’angelo aveva saputo dire solo "O.K., sia come tu dici, sono la serva del Signore", ora è in grado di dare voce alla sua esperienza, di esprimere il suo sentire, quasi fosse liberata da un peso e potesse trasformare la sottomissione a quell’annunzio in libero assenso, in una gioiosa prospettiva di vita. Lo fa non con una preghiera ma con una poesia, con un salmo, la forma poetica della sua cultura: Il Magnificat.
Con questo si apre il tempo dell’Avvento vero e proprio; qui si compie la svolta fra i due Testamenti, fra un prima e un dopo. Tutto ciò che precede fa ancora parte del tempo antico, della profezia, anche l’angelo dell’annunciazione, guarda al futuro ma sta ancora nel mondo di ieri.

Di questa poesia si noteranno subito i primi versi. Il verbo di apertura è esplicito, non lascia dubbi: lodare il Signore, dargli lode. Letteralmente però significa: rende grande; l’anima mia, il mio essere, ciò che fa la mia identità, rende grande il Signore.
Ma Dio non è già grande di per sé? Ha forse bisogno di lei, brava ragazza un po' smarrita, per essere Dio, può quella creatura, ogni creatura, aggiungere alcunché alla sua grandezza? No e sì, no se considerato in sé, ma sì se posto in relazione con lei.
Questo fa Maria dicendo "esulto in Dio mio salvatore". Un attributo (salvatore) e un aggettivo possessivo (mio) che possono usare solo le creature. Gli angeli e gli arcangeli, che cantano la gloria di Dio in cielo e nelle cupole delle cattedrali, dicono ciò che Dio è, non ciò che può essere, non possono aggiungere nulla alla sua onnipotenza, solo una fragile creatura può farlo dicendo qualcosa di nuovo a Dio e di Dio. Questo accade quando egli trasforma la sua vita creando una nuova realtà in lei. Questo dice Maria e in quest’ottica, secondo Luca, è l’immagine di tutti i credenti.

27 novembre 2010

 
   
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