«Cristo ci ha affrancati perché fossimo liberi... non vi lasciate dunque porre sotto il giogo della schiavitù... Fratelli voi siete stati chiamati a libertà ma non servitevene per il vostro io...» (Galati 5: 1 e 13).
«Se perseverate nella mia parola, sarete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»( Giovanni 8:31-32).
Dall’esclamazione di Dante: «Libertà ch’è si cara come sa chi per lei vita rifiuta...», fino al «Liberté Egalité Fraternité» della rivoluzione francese la cultura europea è cresciuta modulando il suo pensiero sul tema della libertà. Si tratta di un principio astratto, di un’idea che non ha in sé nessuna consistenza perché esiste solo nella misura in cui ci sono persone libere. Non sono libero perché c’è libertà, ma c’è libertà nella misura in cui sono libero. Se non ci fossero esseri umani non esisterebbe, la natura non conosce la libertà.
Nella nostra cultura anche questa riflessione trae ispirazione dalle sue matrici fondamentali: la filosofia greca e il cristianesimo. Per la prima la libertà è associata alla vita politica, è il diritto che l’uomo ha di intervenire nella gestione della città, chi non ne gode, i bambini, le donne, gli schiavi non è un "libero".
La libertà si ha di diritto (come figlio di un libero), ma si può ricevere, pagando il riscatto ad una divinità, a cui poi teoricamente si appartiene. La libertà è dunque una condizione di esistenza a cui si può accedere. La cultura europea del Settecento svilupperà il primo di questi concetti ponendo la libertà come un diritto inalienabile dell’individuo: ogni uomo nasce libero e la felicità gli spetta di diritto.
La fede cristiana ha sviluppato invece il secondo concetto: la libertà deriva da un’azione esterna al soggetto, l’uomo è libero solo quando è liberato. Questo il messaggio di Paolo ai cristiani di Galazia.
Chi li ha liberati e da che cosa? Naturalmente è Gesù Cristo l’artefice della liberazione perché ha rivelato loro un’altra immagine di Dio. Non presenza, realtà che si deve servire, riverire, davanti a cui ci si deve umiliare ma amorevole, presente, che ti accompagna, guarda, segue. Una nuova immagine espressa dalla definizione "padre".
Li ha liberati perché li ha sottratti alla schiavitù delle regole della religione ebraica, alla gabbia di prescrizioni rituali, di norme in cui la loro vita è rinchiusa. Lutero dirà: liberati dall’ossessiva ricerca della propria giustizia.
Ma anche da un'altra schiavitù dell’ambito esistenziale: il peccato. Chi commette peccato ne è schiavo, ne diventa prigioniero. Tutto quello che facciamo ha sempre delle conseguenze, si può ringiovanire il corpo, cancellare le rughe con la chirurgia plastica, non si può farlo con l’anima, con l’identità personale. Le lacerazioni prodotte e ricevute non si cancellano, né si rimuovono. La liberazione di Cristo significa che questo male inflitto e subito non ti corrode dentro, non diventa cancrena, non avvelena l’esistenza, non rode la coscienza. La liberazione di Cristo è quando si riacquista serenità, pace con se stessi e con la vita, equilibrio. 4 febbraio 2011 |