Il contrario della fede non è l’incredulità, come siamo portati a pensare. Secondo la Bibbia è la paura. È la paura a impedirci di affidare la nostra vita a Dio e di accogliere in modo pieno, immeritato e gioioso il dono della vita. Nella parabola dei talenti, il «malvagio» servitore è quello che ha paura a spendere il talento ricevuto. Non ama il padrone che pure ha affidato tutti i suoi beni ai servitori, in una fiducia assoluta, ma lo teme, ne ha paura. Eppure quel padrone ha scommesso anche su di lui, che forse è il meno brillante e il meno attrezzato per affrontare la vita, nella speranza che quel talento ricevuto lo riempia di gioia, di fiducia, di entusiasmo nell’utilizzarlo. Nella libertà, non nel timore di venire rimproverato e punito.
La paura è, in questo tempo di crisi, la leva maggiore cui fanno ricorso coloro che detengono i diversi poteri nella nostra società e nel nostro mondo. Marchionne agita lo spauracchio del trasferimento (di ciò che rimane) della produzione della Fiat all’estero e ottiene l’assenso umiliato di grandi sindacati che cancellano decenni di faticosi, piccoli e grandi risultati di battaglie operaie. La Lega Nord, insieme ad altre formazioni politiche populiste, in Italia e all’estero, utilizza la paura come strumento principale di persuasione del proprio elettorato: «attenti, siamo invasi dagli stranieri, dai clandestini che ci rubano lavoro, benessere e tranquillità...». Le giovani generazioni, sempre più ricattabili, rischiano di viaggiare a corrente alternata fra la rassegnazione che stinge nell’indifferenza e il sogno di diventare ricchi con uno dei tanti «gratta e vinci» o con la giusta raccomandazione che riesce magari a farti avere un provino per la televisione, dove non servono competenze e capacità, ma piuttosto la disponibilità a vendere il tuo corpo e la tua dignità.
Anche le nostre chiese, mi pare, rischiano di lasciarsi contagiare dalle tante paure del nostro tempo, ma possono ancora, a mio avviso, cercare di divenire e di offrire spazi liberi dalle paure. Dalla paura sterilizzante, che toglie passione per ciò che si fa, dalla paura che paralizza e che porterà il servo della parabola a essere considerato pigro e incapace, dalla paura che rende apatici e che fa apparire inutile qualsiasi «investimento», qualsiasi impegno per gli altri, persino qualsiasi preghiera. Dalla paura che è così contagiosa da diffondersi più in fretta di qualsiasi virus.
La paura impedisce la libertà, come ci insegna la parabola, mentre il Dio della Bibbia vuole persone libere e appassionate. «Nell’amore non c’è paura» ci dice ancora l’Evangelo. Perché anche amare è un enorme rischio – e il Maestro della Galilea lo sapeva bene. Perché fede e amore sono l’unico antidoto per la paura: credere e amare, infatti, sono proprio la stessa cosa.
Tratto da Riforma del 22 aprile 2011 |