Siamo nell’anno 594 avanti Cristo: Gerusalemme è ancora in piedi, ma migliaia di ebrei sono stati deportati in Babilonia: non sono in prigione né in miseria; sono semplicemente degli ostaggi del disegno imperiale di Nebucadnetsar. Possono pregare e discutere, ma spiritualmente sono ormai degli apolidi: vivono in una terra impura, condizionata dai poteri pagani e dalle loro ideologie. In questa situazione logorante, tra gli esuli hanno corso due atteggiamenti opposti: molti si deprimono, ma qualcuno si lascia andare a speranze esaltate: presto il Signore dispiegherà tutta la sua potenza a favore dei suoi eletti, che potranno tornare trionfanti a Gerusalemme. Paradossalmente, questi due atteggiamenti hanno lo stesso risultato pratico: una completa passività. Ed è proprio contro questa passività che si pronuncia Geremia: fate figli e costruite case – egli dice – ma soprattutto pregate per Babilonia.
Queste parole Geremia le ha scritte anche per noi: come quegli esuli, noi ci sentiamo terribilmente a disagio nell’Italia – e nel mondo – di oggi: le mafie sono sempre più potenti, molti politici sono corrotti, le aziende delocalizzano o mettono in cassa integrazione, i nostri giovani sembrano condannati alla precarietà perpetua; anche l’amore, che dovrebbe essere il profumo della vita, è diventato oggetto di mercato. E per giunta, la nostra democrazia sembra avviata a perire in un mare di menzogne.
E così, molti di noi vivono nel più disperato pessimismo: «tutti i politici sono disonesti», la nostra società non potrà mai essere riformata. Qualcuno, invece, cerca la strada dell’evasione: tornano di moda le speculazioni sulla «fine del mondo», magari con l’aiuto del Calendario Maya e di un’Apocalisse forzata nei suoi significati. Come in Babilonia, il risultato è sempre lo stesso: la più completa passività.
Ma il profeta ci chiede di lottare contro questa passività. Anzitutto: «pregate per la città» in cui vi trovate così a disagio. Gli storici raccontano che quando Luigi XIV prendeva ogni sorta di iniziativa per distruggere gli Ugonotti (e i valdesi), il Sinodo della Chiesa riformata decise di non cancellare dalle proprie liturgie la preghiera per il Re: proprio perché era un mascalzone, bisognava pregare per lui, perché tornasse alla serietà dei suoi compiti di governo.
Dunque, anche noi possiamo pregare perché l’Italia accetti di lasciarsi rigenerare dall’evangelo. Ma non basta pregare: bisogna «cercare il bene della città», accettare tutte le occasioni (e le persone) che ci permettano di costruire qualcosa di positivo: non sarà molto, ma potrebbe essere un contributo al nuovo Risorgimento.
Tratto da Riforma del 13 maggio 2011 |