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IL VANGELO OGGI
 
Il dono dello Spirito di Dio
di Mauro Pons

Testi: Giovanni 6,5-15; Gioele 2, 27-29. 32a

«5 "Ma ora vado a colui che mi ha mandato; e nessuno di voi mi domanda: 'Dove vai?' 6 Invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. 7 Eppure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò. 8 Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9 Quanto al peccato, perché non credono in me; 10 quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11 quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. 12 Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; 13 quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. 14 Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. 15 Tutte le cose che ha il Padre, sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà.» (Giovanni 6,5-15)
«27 "Conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono il SIGNORE, vostro Dio, e non ce n'è nessun altro (...) 28 Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. 29 Anche sui servi e sulle serve, spargerò in quei giorni il mio Spirito. (...) 32 Chiunque invocherà il nome del SIGNORE sarà salvato ... sul monte Sion e a Gerusalemme."» (Gioele 2, 27-29. 32a)

Bottega di Andrea della Robbia: PentecosteE' possibile affermare che l’esperienza di fede del credente è lo spazio esistenziale in cui si incontrano la memoria dell’azione di misericordia di Dio già compiuta in favore dell’umanità (Israele), l’essere in atto dell’amore che Dio manifesta in Gesù Cristo e l’apertura al futuro che Dio ha promesso all’umanità credente, della quale il dono dello Spirito di Dio non è altro che un’anticipazione? In qualche modo questa domanda ci introduce all’interno del racconto del dono dello Spirito di Dio ai discepoli radunati a Gerusalemme nel giorno della Festa della Pentecoste ebraica (Atti 2, 1-47).

Che cosa accadde veramente in quel giorno a Gerusalemme? Un miracolo? Una manifestazione della potenza di Dio? L’elargizione di un dono promesso, atteso e, ora, finalmente offerto ai suoi? Il compimento della missione di Gesù sulla terra e l’inizio di una nuova fase del rapporto di Dio con il mondo, fase che passa attraverso la nascita della chiesa cristiana missionaria? E ancora: quale significato può assumere il ricordo del dono dello Spirito di Dio ai discepoli di Gesù, per noi discepole e discepoli del Cristo vivente?

Secondo Giovanni 16, 5-15, Gesù saluta i suoi discepoli (capp. 14-17), preparandoli a una separazione da lui, conseguenza della sua morte sulla croce e della sua risurrezione. L’idea di questa separazione risulta inaccettabile per i discepoli di Gesù, nonostante quest’ultimo li avesse già preparati a essa. È una reazione simile a quella di Maria Maddalena nel giorno della risurrezione di Gesù (Gv. 20, 11- 18), la quale vorrebbe trattenerlo presso di sé, accoglierlo tra le sue braccia, ma che, invece, viene invitata a lasciarlo libero di compiere il suo cammino verso il Padre. È dunque l’idea di perdita dell’oggetto amato che lega la lingua dei discepoli («nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”»), li rende tristi a motivo di una separazione che viene vissuta come abbandono.

Eppure, secondo Gesù, questo abbandono è necessario perché il piano di Dio possa giungere a compimento, realizzarsi pienamente. Infatti la storia di Dio con l’umanità sembra essere arrivata ad un punto morto con la risurrezione di Gesù. I discepoli si sono ritirati prima in Galilea, poi si riuniscono a Gerusalemme in occasione della Pentecoste, ma si tengono nascosti; vivono una sorta di clandestinità «spirituale» improduttiva, che, inevitabilmente, li condannerà a esaurire l’efficacia dell’Evangelo in una sorta di ghetto religioso all’interno del giudaismo del loro tempo. È il destino di ogni forma di cristianesimo che si cristallizza sui suoi principi dogmatici tradizionali, ai quali si richiama per mantenere in vita un simulacro di fede, quella fede incapace di vivere senza l’innesto della forza vivificante dello Spirito di Dio. Questo è il dato di fatto che dobbiamo ricordare: il dono dello Spirito di Dio non solo «consola», cura le ferite e il dolore provocati dall’abbandono di chi ci ama e abbiamo amato, ma ci permette anche di superare questa prova in cui rischiamo di sprofondare nell’annichilimento (depressione) di chi pensa di non essere più degno di essere amato. Come i discepoli di Gesù ieri, noi che, oggi, continuiamo ancora a essere i discepoli di Gesù, riceviamo il dono dello Spirito di Dio per essere rafforzati nella missione che ci aspetta e sta davanti a noi. Non soli, ma in compagnia del Dio di Gesù Cristo, da ora in poi, il suo Spirito!

Ma è stato veramente necessario ed è ancora necessario il dono dello Spirito di Dio ai suoi discepoli e alle sue discepole? Sì! Per Giovanni sono tre le ragioni di questa necessità. La prima riguarda il fatto che il peccato dell’essere umano ostacola la fede nel Cristo risorto. Se peccare è riferibile a una sorta di autoreferenzialità morale dell’essere umano, la quale lo allontana dalla Parola di Dio che gli rivela la falsità dell’illusione di «salvarsi senza Dio», allora peccare significa non riconoscere a Dio la potenza che redime l’essere umano grazie alla morte sulla croce di Gesù. Non riconoscere il nostro peccato è in definitiva rinunciare alla vita che Dio ci annuncia in Gesù Cristo. È per questo motivo dunque che lo Spirito di Dio suscita l’esperienza della «profezia» nella chiesa cristiana, cioè la possibilità di uno sguardo, di una parola, che dall’esterno dell’essere umano, legge la realtà della vita umana per cogliere in essa la presenza del male, dell’ingiustizia, del dolore, della disumanizzazione, le quali impoveriscono, devastano le nostre esistenze.

La seconda ragione, secondo Giovanni, riguarda il fatto che, nel momento in cui Gesù è morto e nel momento in cui il Cristo prende il suo posto presso il Padre, la realtà del mondo rischierebbe di rimanere «senza governo», affidata completamente alla volontà di potenza dell’essere umano, potenza pericolosa se a essa non si contrappone la giustizia di Dio, cioè il modo che Dio ha di governare la realtà del creato. L’idea di giustizia di Dio ha a che fare con la sua misericordia; con l’ordine che si oppone al caos per dare spazio alla vita; con la Legge che norma le relazioni tra gli esseri umani e tra questi ultimi e ogni aspetto della vita creativa che Dio dispiega nel mondo; con l’amore di Dio che, superando i limiti della Legge in Gesù, propone un ordine della vita comune costruito sull’esperienza della dignità reciproca della propria esistenza (amore). È per questo motivo dunque che lo Spirito di Dio suscita l’esperienza del «sogno» nella chiesa cristiana, cioè la possibilità di un modo di immaginare e costruire la realtà dell’esse re umano, fondata su una parola che, dall’esterno dell’umanità, dispiega un progetto di società civile, la quale opera per il superamento di ogni male, ingiustizia, dolore, perché la giustizia di Dio, organizzata dal suo Spirito, invita a procedere tutte e tutti insieme in un cammino di liberazione del le nostre esistenze da tutto ciò che ci opprime nel nostro presente.

La terza ragione riguarda il fatto che, nonostante la morte di Gesù sulla croce abbia sconfitto il peccato dell’essere umano, la risurrezione di Gesù anticipi anche la nostra vittoria sulla morte, la realtà del mondo ci rimanda continuamente a una contraddizione che neanche la fede riesce a ricomporre in un significato positivo. Infatti la vita sembra sospendere il suo giudizio su Dio: in attesa del suo futuro, la vita si riprende i suoi spazi di azione, proseguendo il suo cammino, indifferente al bene e al male, al cambiamento o alla conservazione, preoccupata solamente del suo vitalismo esuberante e, apparentemente, inconsapevole. Tutto è già accaduto, in Gesù Cristo Dio ha giudicato il mondo salvandolo: qualcosa è cambiato? No! Viviamo alla leggera dunque, ciascuno per sé e Dio per tutti. Quale giudizio dobbiamo ancora aspettarci? È per questo motivo dunque che lo Spirito di Dio suscita l’esperienza della «visione » nella chiesa cristiana, cioè la possibilità di guardare al di là dell’ordine costituito, della sua apparenza, grazie a una parola, che dall’esterno dell’essere umano, approfondisce il senso e il significato della realtà della vita umana, per cogliere in essa la trasformazione del cuore e delle menti degli esseri umani; trasformazione, conversione, che, pur in presenza del male, dell’ingiustizia, del dolo re, sa guardare alla loro conformazione strutturale per individuare in essi quelle crepe, fessure, aperture, attraverso le quali innescare la dinamica dell’amore di Dio che ogni cosa riconduce al suo progetto originario di salvezza dell’umanità, proprio grazie all’azione e all’intervento del suo Spirito. Preghiamo Dio per il dono del suo Spirito.

Tratto da Riforma del 10 giugno 2011

 
   
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