Questa è la domanda che Elifaz pone a Giobbe in un momento in cui Giobbe è circondato dal dolore e dal lutto. Infatti ha perso ogni cosa. Prima i suoi beni materiali, poi tutta la servitù‚ e poi i suoi figli e le sue figlie e adesso è malato pure lui. Mi sembra di vederlo mentre piange davanti alla tomba dei suoi figli e si chiede se e come è possibile continuare a vivere! Ma anche in questa fase si affida a Dio e dice: il SIGNORE ha dato, il SIGNORE ha tolto; sia benedetto il nome del SIGNORE.
Sicuramente questa affermazione gli provoca un grande dolore ma solo la sua fede gli permette di continuare a vivere. Alla fine però è così stanco da maledire il giorno in cui è nato. E in questa fase arriva la domanda dell‘amico Elifaz: “Può il mortale essere giusto davanti a Dio? Può l'uomo essere puro davanti al suo creatore?” La domanda di Elifaz presuppone che Giobbe stia così male e che gli siano accadute così tante disgrazie perché si il suo comportamento è stato in qualche modo peccaminoso.
Spesso, negli incontri di cura d’anima, mi viene posta una domanda simile: “cosa ho fatto per meritare tutto questo?” Ma con questo versetto e questo modo di vedere le cose collego anche un’altra domanda: “non prego abbastanza o non nel modo giusto? Per questo non riesco a guarire?” Ho l’impressione che dietro queste domande ci sia in realtà un’altra domanda: “come posso essere giusto/giusta agli occhi di Dio?”
Rimane difficile capire perché alcune cose accadono. Lo era per Giobbe e lo è per noi oggi. Quello che però non possiamo e non dobbiamo dimenticare è che Dio ci è vicino, che sa che cosa significa soffrire e che ci aiuta a superare i momenti di dolore. Non lo dimentichiamo e non ci facciamo prendere dalla tentazione di pensare di poterci salvare attraverso la bontà delle nostre azioni o delle nostre preghiere.
Tratto dalla circolare della chiesa metodista di Milano |