«1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. 4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8 L'amore non verrà mai meno...»
Patrizia Cavalli una poeta a noi contemporanea termina una sua poesia con queste parole: “Ma d’amore
non voglio parlare,
l’amore lo voglio
solamente fare”.
Ma come si può fare, costruire l’amore oggi, in questo nostro mondo? Come si può smettere di spendere parole sull’amore e iniziare veramente a considerarlo uno strumento, il principale, anche stando a quanto ci dice Paolo, che orienta ogni nostro dire, ogni nostro agire?
Amare è difficile perché per amare bisogna essere minimo in due, e sappiamo bene che ogni incontro, dove circola amore, un incontro di coppia, d’amicizia, di relazione figliare, non vive del semplice nutrimento dell’amore stesso, ma mescola questa strana cosa, che è l’amore, con il desiderio di possesso, di controllo dell’altra/o, oppure, con il desiderio di fusione dove i confini dell’uno e dell’altra perdono identità, oppure, con il desiderio di prevaricazione attraverso la quale si stabilisce una lotta che decreti una vincitrice e un vinto…oppure, mille altre dinamiche ancora più complesse e inconfessabili.
Insomma, quando si è in due o più di due, tutto diventa assai difficile e in particolare diventa difficile essere fedele ad ogni sentimento, ad ogni pensiero che comincia a germogliare in ciascuno dei soggetti in questione. Diventa difficile essere fedeli a se stesse e se stessi e contemporaneamente essere fedeli all’attesa che l’altra o l'altro ha verso i nostri confronti.
Sì, è difficile, eppure non possiamo fare a meno dell’amore. Per non amare bisogna scegliere la solitudine.
Sylvia Plath, una scrittrice americana, purtroppo scomparsa precocemente, da' una definizione tremenda e contemporaneamente efficace della solitudine. Lei afferma:
“la solitudine... parte da un punto indefinito dell’io: come una malattia del sangue che si diffonde in tutto il corpo sicché non si può localizzarne il focolaio, l’origine del contagio.”
E’ vero la solitudine è una malattia, una malattia che siamo chiamati e chiamate da Dio e dalle persone che ci stanno accanto a debellare, a cancellare dalla nostra storia.
Meglio vivere nelle contraddizioni dell’amore che in quelle della solitudine, meglio patire l’incomprensione dell’altro, dell'altra che la desolazione del vuoto, meglio lottare con colui/colei/coloro che amiamo, piuttosto che fasciarsi di ricordi o sogni che non incidono lo spazio del nostro presente.
Anche se succede sempre qualcosa di travagliato tra, il “c’era una volta”, che si pone all’inizio d’ogni narrazione di una storia d’amore o d’amicizia e, “il vissero felici e contenti”, con il quale il racconto può terminare, vale sempre la pena di usare tutta la propria forza creativa, tutto il proprio pensiero, tutta la propria fantasia per avventurarsi nel terreno dell’amore.
Quest’insegnamento lo traiamo dall’osservazione che facciamo gli uni nei confronti delle altre, ma lo apprendiamo anche dal testo che abbiamo letto.
Paolo in fondo ci invita ad uscire dal circolo della solitudine, dello struggimento interiore, per alzare gli occhi verso le altre e gli altri e verso Dio.
Paolo c’invita ad uscire dallo sgomento del vuoto per lanciarci tra le braccia di coloro che amiamo e da cui dipendiamo per vivere.
Non è solo il buon senso che guida Paolo: è piuttosto la certezza che quelle/i di Corinto potranno superare i conflitti nei quali sono caduti se riusciranno a lasciarsi andare nella reciproca accoglienza e soprattutto se avranno ben chiara la consapevolezza che Dio è lì con loro, intento a dirimere le questioni che li travagliano, intento a trovare il bandolo della matassa ingarbugliata che impedisce loro di accorgersi della presenza degli uni o delle altre, dei doni e delle capacità che caratterizzavano le donne e gli uomini di Corinto.
Paolo non fa altro che dichiarare che la parola amore può ospitare tutte e tutti di quella chiesa, li può ospitare e riparare come se fosse la vera casa comune in cui ciascuno di loro può trovare serenità.
Una casa solida, di pietra, quella dell’amore di Dio che decentra l’attenzione dal sé e che soprattutto non permette alle parole delle persone di ruminare sui propri pensieri o le proprie preoccupazioni.
Dio ha un cuore appassionato, ma mai per una persona sola, ha un cuore appassionato per tutte le donne e tutti gli uomini di Corinto, per noi, ed è quel cuore appassionato carico d’amore che c’insegna e ci dice di amarci.
Quel Dio che ci ha voluti liberi di fare il nostro bene, e ahimè anche il nostro male, ci ricorda che l’amore è il nutrimento principale dell’esistenza, perché tutto può mutare ma mai quella verità che ci dice quanto sia necessario per noi l’amore, necessario come lo è l’aria, il sole, la notte, la luce.
Essere chiamati all’amore è come essere chiamati a far parte di un girotondo dove tutti e tutte si danno la mano e contemporaneamente tutti e tutte si muovono, Dio compreso.
Amare vuol dire, in fondo, investigare l’anima di chi abbiamo di fronte con attenzione, con desiderio, con curiosità. E’ questo che ci chiama alla vita, lo sguardo e il calore dell’altra/o, lo sguardo e il calore di Dio.
Ed in questo girotondo tutte e tutti possiamo guardarci in faccia, e muoverci in quello stesso verso che ci permette di comunicare, proprio perché seguiamo un’unica direzione, che è poi quella di Dio o forse è quella in cui Dio segue noi, chissà.
La direzione di aver accettato la dipendenza gli uni delle altre, condizionandoci così a vicenda, nel tentativo di costruire un mondo che, oltre al senso comune, veda attestarsi la scommessa di quell’amore che nasce soprattutto dalla fede in Gesù Cristo.
E’ la compagnia di Dio che ci permette la serenità della vita ed è la scommessa dell’amore che ci permette di amare la vita anche in situazioni d’estrema difficoltà, perché la vita, è vero, è difficile ma non è greve, è problematica ma non è impossibile, è complessa ma non è opprimente.
Etty Hillesum nel suoi diari scrive:
“Ho capito pian piano che nei giorni in cui proviamo avversione per il prossimo, in fondo proviamo avversione per noi stessi. Ama il tuo prossimo come te stesso. So che dipende sempre da me, mai da lui. Abbiamo un ritmo di vita molto diverso ma si deve permettere a ognuno di essere come è”.
Nel girotondo d’amore in cui siamo invitati dobbiamo, allora, non solo guardare alle altre e gli altri con curiosità e desiderio ma anche a noi stessi deve essere rivolta attenzione e cura perché per amare dobbiamo amarci, per celebrare dobbiamo celebrarci, per far sorridere dobbiamo sorridere, per accogliere l’altro, l'altra e Dio dobbiamo già esserci accolti noi.
Intanto Dio ci rimane accanto, invisibile ma concreto. La poeta Emily Dickinson scrive:
Non vidi mai una brughiera,
non vidi mai il mare,
non so che aspetto ha l’erica
e cosa è un’onda.
Non ho mai parlato con Dio
Né visitato il cielo,
eppure so dov’è, come
se avessi il biglietto - per entrare. |