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IL VANGELO OGGI
 
Il Vangelo ci interroga: I Samuele 2: 1-8
di Daniela Di Carlo

«1 Il mio cuore esulta nel SIGNORE, il SIGNORE ha innalzato la mia potenza, la mia bocca si apre contro i miei nemici perché gioisco nella tua salvezza. 2 Nessuno è santo come il SIGNORE, poiché non c'è altro Dio all'infuori di te; e non c'è rocca pari al nostro Dio. 3 Non parlate più con tanto orgoglio; non esca più l'arroganza dalla vostra bocca; poiché il SIGNORE è un Dio che sa tutto e da lui sono pesate le azioni dell'uomo. 4 L'arco dei potenti è spezzato, ma quelli che vacillano sono rivestiti di forza. 5 Quelli che una volta erano sazi si offrono a giornata per il pane, e quanti erano affamati ora hanno riposo. La sterile partorisce sette volte, ma la donna che aveva molti figli diventa fiacca. 6 Il SIGNORE fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. 7 Il SIGNORE fa impoverire e fa arricchire, egli abbassa e innalza. 8 Alza il misero dalla polvere e innalza il povero dal letame, per farli sedere con i nobili, per farli eredi di un trono di gloria; poiché le colonne della terra sono del SIGNORE e su queste ha poggiato il mondo

Chen Cao è un’ispettore capo della polizia di Shanghai. E’ nato in quella città da una famiglia considerata durante la Grande rivoluzione culturale proletaria, della metà degli anni ’60, “nera”. Essere neri significava quasi sempre essere intellettuali e quindi perseguitati dalle Guardie Rosse incaricate di spazzare via dalla Cina i “quattro vecchiumi”: vecchie idee, vecchia cultura, vecchie abitudini, vecchi comportamenti. L’espropriazione totale dei propri beni era seguita da una pubblica condanna, mite nel caso in cui si veniva inviati alla rieducazione contadina o operaia, dura se si veniva incarcerati dopo processi sommari che spesso portavano alla morte accidentale o alla scomparsa “inspiegabile” del protagonista. Il padre di Chen Cao era un professore di letteratura considerato un uomo dal gusto irrimediabilmente borghese perché aveva introdotto nella sua cattedra l’insegnamento di poeti e scrittori occidentali.

Sua madre aveva una spiritualità confuciana e per questa ragione era vista come una pericolosa riformista colpevole di aprirsi alle contaminazioni religiose tollerate all’interno del Partito Comunista Cinese dal lassismo di Deng Xiaoping e di Liu Shaoqi. Chen Cao cresce nel caos di uno shikumen, la tipica casa con cortile, pensata all’origine per un nucleo monofamiliare, espropriata ai neri per essere restituita al proletariato. In un’unica stanza, indipendentemente che fosse formata da tre persone o da dieci, viveva un’intera famiglia che lì mangiava, dormiva, svolgeva ogni tipo di attività quotidiana. La cucina con la stufa a carbone e il bagno erano in comune e potevano essere usati solo osservando rigidi turni per l’utilizzo. Alla morte di Mao Zedong, nel 1976, si chiuse anche la Grande rivoluzione culturale del proletariato e il Partito comunista cinese è di nuovo in grado di riprendere il controllo del paese.

Di lì a poco la famiglia di Chen Cao, come molte altre, viene riabilitata e Chen ha davanti a sé due strade: la prima, quella di vivere il resto della sua esistenza con la rabbia e il rancore generate delle persecuzioni subite dalla sua famiglia, la seconda, quella di trasformare dall’interno del Partito comunista il suo paese per dimostrare, a se stesso e agli altri, che è possibile una redenzione dal male e dalla corruzione. La scelta di questa seconda via lo spinge a ricercare una giustizia in grado di riparare quel clima di terrore e di infelicità, quel disincanto che aveva segnato la miseria nella quale era venuto al mondo. Una trasformazione piccola che parte da lui, dal rigore con il quale tratta le storie dell’umanità che incontra e che s’irradia attraverso le persone che coinvolge in questa sua missione. Chen Cao crede nella trasformazione che resuscita le persone portandole ad una nuova vita, dando loro la possibilità di riscrivere le proprie vicende da un’angolatura diversa dove prende spazio la speranza e si diffonde quella fiducia che cambia il presente e prevede un futuro che abbia senso.

Questa è la stessa determinata fede nella trasformazione che muove le parole e le azioni di Anna ma con una differenza significativa: mentre Chen può contare sulle capacità e sulla volontà umane, lei può contare sul desiderio di trasformazione di Dio per il mondo.

Anna che digiuna al momento della celebrazione del sacrificio annuale perché in quell’occasione è evidente che è sola, nella casa del Signore è proprio il numero dei figli che determina il grado di partecipazione a quel rito; Anna che è mortificata da Pennina, l’altra moglie del marito Elkana, in virtù della sua sterilità; Anna che è indicata ingiustamente come l’ubriaca perché prega incessantemente, ma senza voce, in silenzio, muovendo solo le labbra; Anna che si impegna a privarsi del piacere di crescere un figlio, nel momento in cui l’avrà, per portarlo al sacerdote Eli e consacrarlo al Signore.
Quell’Anna apparentemente sconfitta dalla vita è la stessa Anna che con forza chiama Dio a giudizio, gli chiede attraverso la preghiera di cambiare il suo destino, di rendere feconda la sua esistenza straziata, di mutare la disperazione che si affaccia ai suoi giorni per riaccendere la speranza. Ha bisogno di una luce che illumini la sua storia, una luce che illumini il popolo di cui fa parte e che come lei si trascina in un’opacità senza futuro.

Israele è infatti una comunità che si dedica alla violenza, che vive in un caos morale, spirituale ed etico. Oppresso dalle minacce dei filistei è un popolo in ginocchio, politicamente debole e economicamente svantaggiato, senza una guida in grado di fornire visioni diverse da quelle vissute, Israele sembra incapace di reggere il peso del presente. Israele è in attesa, come Anna lo è di un figlio, di un cambiamento che trasformi quel gruppo marginale di tribù in uno stato organizzato.

Dio ascolta il lamento di Anna e contemporaneamente quello di Israele e si servirà di una storia piccola, famigliare, quella di Anna per cambiare le sorti di una storia grande, quella di Israele. La nascita di Samuele, il figlio tanto desiderato al quale sarà lei a dare il nome, contrariamente a quanto accadeva normalmente, modificherà le sorti di un intero popolo. Quella nascita sarà un dono non solo privato ma pubblico. Con quella nascita tornerà di nuovo in vita Israele che era morto e che ora può invece sperare in una nuova era, tornerà in vita Anna che pregava in silenzio e ora canta urlando la sua gioia.
La rinascita, la risurrezione, la trasformazione radicale sono doni di Dio che consentono una straordinaria speranza che va al di là di ogni, anche la più grande e nobile, capacità umana.

Chen Cao fa bene a prodigarsi con tutto se stesso al raggiungimento di una giustizia già ora visibile, godibile, sperimentabile. E noi che siamo donne e uomini cristiani camminiamo nella sua stessa direzione ma in più possiamo appoggiare la nostra vita su Dio. È per questo che Dio ci insegna a vedere le cose impossibili come se fossero davvero vicine a noi: dagli archi dei potenti spezzati, ai miseri liberati dalla polvere, oppure i poveri liberati dal letame della volgarità della vita. A loro, come a noi, è promesso un trono di gloria dove la giustizia di Dio è in grado di allontanare le nostre paure e le nostre ansie. Ciò accade già ora, già adesso. Ora, adesso, siamo chiamate e chiamati a vita nuova, a portare nelle nostre esistenze la gioia della resurrezione che altro che non è che quel cambiamento, quella trasformazione, quella nuova occasione di iscrivere le nostre piccole storie nella grande storia dell’umanità pensata da Dio.

 
   
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