Shalom, pace a te. Perché quanto a me, di pace ne ho ben poca.
Io mi chiamo Dima e sono... non so bene che cosa sono. Posso dirti che cos’ero, questo è più facile. Dunque, solo qualche mese fa ero un semplice falegname e lavoravo nella casa in cui ero nato, a Cafarnao, in Galilea. Non mi dispiaceva il mio lavoro, non mi dispiaceva la mia vita, assieme ai miei familiari, a coloro che conoscevo da quando ero nato. Poi però tutto è cambiato di colpo, in un modo che non avrei potuto immaginare. Ero al porto, sul lago di Tiberiade che facevo una riparazione sulla barca di un pescatore; mi piace fare quel genere di lavori, sono bravo e poi sto a contatto con la gente, invece che chiuso nella mia bottega. Ed effettivamente quel giorno di gente ce n’era veramente tanta, molta più del solito. Ho chiesto in giro e mi hanno detto che erano tutti riuniti lì per ascoltare un predicatore venuto dallo sperduto villaggio di Nazareth. Io sono una persona pratica, mi piace più fare che parlare o ascoltare, ma questa persona mi ha affascinato lo stesso. Diceva cose semplicissime (ve lo dico io, che non ho avuto modo di studiare molto), ma che ti toccavano a fondo. Quest’uomo parlava di Dio come non l’avevo mai sentito fare, ci annunciava un Dio vicino, un Dio che non si è dimenticato delle sue promesse, ma continua a prendersi cura di noi.
Ci credereste? L’ho seguito. Così, in tutta semplicità, senza pensieri o progetti, l’ho seguito. Mi sono reso conto che avevo bisogno delle sue parole, dei suoi gesti d’affetto, della sua capacità di dirmi sempre la verità, anche quando era scomoda e mi svelava i miei errori. L’ho seguito e man mano che camminavamo insieme per le vie di Galilea e Giudea l’ho conosciuto sempre meglio. Ho conosciuto una persona che sa che cos’è la compassione, un uomo per il quale nessuno è troppo piccolo o troppo poco importante. Ho conosciuto un maestro scomodo che non si accontenta mai di quello che noi facciamo o di come ci comportiamo: abbiamo amato il nostro prossimo? Amiamolo un po’ di più; abbiamo predicato la giustizia di Dio? Bene, ora sforziamoci anche di viverla; abbiamo aiutato i poveri e gli ultimi? Allora diamoci da fare perché il mondo smetta di fare classifiche di questo genere, perché siamo tutti uguali agli occhi del Signore.
Man mano che lo ascoltavo, vedevo che non stavo solo seguendo un bravo predicatore, un uomo carismatico. Intendiamoci, io non sono un pozzo di scienza, ma sono andato a scuola da un rabbino che mi ha insegnato a leggere sui testi sacri dei nostri padri, che mi ha parlato delle promesse del Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe. E proprio leggendo quelle pagine, ricordando le antiche profezie ho cominciato a comprendere un po’ meglio il Galileo che ci guidava. E ho capito che lui non era uno come gli altri. No, lui era il Messia, era l’Eletto, era il Figlio dell’Uomo, era il Re d’Israele, era... già, ERA, non È. Proprio quando sembrava che fosse chiaro che lui entrava nella santa Gerusalemme per regnare, per reclamare il trono di Davide, suo padre, tutto è andato in frantumi. L’arresto, il processo, la condanna... almeno credo, io non ero presente, nessuno era presente, nessuno ha avuto il coraggio di seguire il Maestro in un momento così difficile. Certo, mi vergogno della mia vigliaccheria e non mi fa sentire meglio sapere che anche Pietro, il nostro “fratello maggiore” nel discepolato, non si sia comportato meglio.
E così eccomi ora sulla strada per Emmaus con il mio compagno Tommaso; mi ospiterà qualche giorno, poi credo che tornerò a Cafarnao, tornerò alla mia vecchia vita, cercherò di gettarmi dietro le spalle questi mesi passati sulle strade di Galilea con il Maestro. Ma sono triste, molto triste. Sono stato vittima di un’illusione, il Maestro non era diverso dai tanti ciarlatani che ogni tanto si spacciano per padreterni, che affermano di avere in mano la soluzione per tutti i problemi del mondo.
Hai capito, ignoto viaggiatore che accompagni Tommaso e me su questo malinconico cammino? Hai sentito la triste storia di un uomo disilluso? Come dici? Che non tutto è finito? Ma suvvia... certo, le profezie le conosco anch’io, ma far tornare qualcuno dalla morte non sarà un po’ troppo anche per Dio? Sperare in questo vuol dire illudersi e ti assicuro che le illusioni, quando si rivelano come tali, fanno male. Ti ripeto che le profezie le conosco, ma queste parole, che un tempo mi riempivano di speranza ora non mi bastano più. Sarò un incredulo, ma mi serve un segno più concreto. Se rivedessi il Maestro mi basterebbe? Certo, ma... aspetta, compagno di cammino. È tardi e siamo ad Emmaus: fermati con Tommaso e con me. Ti avviso: non sarà una cena molto allegra, Tommaso ed io non siamo proprio del nostro migliore umore. Ma un pezzo di pane ed un letto non mancheranno: dopotutto il Maestro ci ha insegnato il valore della compassione e almeno in questo modo possiamo ricordarlo. Anzi, vorresti farci l’onore di essere proprio tu a pronunciare la benedizione sul pane che condivideremo? Non so perché, ma sono certo che sai dirla in modo speciale.
ERA LUI, anzi È Lui. È Lui che mi è stato vicino, mi ha parlato e che si è fatto riconoscere nel gesto a lui più congeniale: la condivisione. È lui che non mi ha illuso, ma che per amor mio ha fatto ciò che ha detto, ha vissuto, costi quel che costi, ciò che ha predicato. È Lui e ora se n’è andato, ma non mi sento più solo: in Lui, nel suo amore che sfida l’indifferenza e la paura e le smaschera per ciò che sono, so che c’è la mia vita, il mio futuro. Nelle sue parole di speranza, nei gesti d’affetto che mi ha appena ricordato, c’è il mio cammino: vado a portare ciò che da lui ho ricevuto e, lo so, continuerò a ricevere.
Che forse sia questa la mia pace? Una pace che non ti “lascia in pace”, che non puoi dare per scontata una volta per tutte, ma che ti chiede di portare la pace nonostante tutto, di vivere la pace. E allora Shalom, pace a te, Signore, a voi tutti che mi ascoltate; ma pace anche a me, grazie al mio Maestro. |