Dalle grandi rivoluzioni del XVIII secolo è diventato evidente che la libertà di parola è uno dei diritti fondamentali dei cittadini, anche se molto c’è ancora da fare perché in tutto il mondo questo diritto venga riconosciuto. Nell’epoca della comunicazione digitale, poi, è molto più facile far giungere la propria parola quasi ovunque, condividerla con persone all’altro capo del pianeta.
Perché il Salmista invita allora al silenzio? Oscurantismo? Censura? Forse è la semplice constatazione che il silenzio è comunque un’arte rara. Tutti parlano, alcuni gridano e frequentemente lo fa chi non ha nulla da dire. Noi siamo esonerati dall’obbligo di dover parlare, di dover essere attivi, che talvolta la nostra società sembra volerci imporre. E soprattutto, qui non si ordina di tacere, si invita ad apprezzare il dono del silenzio per dedicarsi ad un’attività completamente diversa: l’attesa.
L’attesa in sé può essere snervante: attendere un treno in ritardo o il proprio appuntamento dal dentista in una sala d’aspetto non sono certo le occupazioni a cui ci dedichiamo più volentieri. Ma nel nostro Salmo silenzio ed attesa sono guidati da una motivazione completamente diversa: essi sono una conseguenza della fede in Dio, della fiducia nella presenza di Colui che ci viene incontro e non ci chiede di attenderlo senza fine, di tacere intimoriti. Noi tacciamo per ascoltare perché confessiamo la nostra fede in un Dio che parla, che ci guida con la sua Parola. Noi aspettiamo con fiducia un Dio che, più che mai in Gesù Cristo, è presente nelle nostre vite. |