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IL VANGELO OGGI
 
Il Vangelo ci interroga: Romani 13,8a
di Pawel Gajewski

«Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri»

Sempre più intensamente siamo bombardati con aggiornamenti continui sulla crisi economica globale, sulla nostra situazione debitoria e sulle misure da adottare per combatterla. I recenti vertici di governo hanno fatto tornare alla ribalta tutta la complessità dei meccanismi che regolano lo scambio dei beni e dei servizi. Meccanismi ben lontani dalla semplicità del principio «dare/avere» che sta alla base di tutti i tipi di contabilità. D’altro canto anche la gestione di un normale conto corrente bancario è piuttosto distante da questo concetto. Pagamenti anticipati o dilazionati, mutui, investimenti, domiciliazione delle utenze, valute del giorno prima oppure della settimana dopo, rendono quasi impossibile il calcolo preciso delle proprie risorse economiche.
Con tutta la buona volontà, ci si ritrova spesso con qualche pendenza, con un debito ancora da saldare. Non sono un economista ma sono convinto che come credenti cristiani dobbiamo essere pronti a rendere la nostra testimonianza in questa situazione. Non vorrei soffermarmi tuttavia soltanto sulla superficie etica del problema, incoraggiandovi ad adottare stili di vita (e di spesa) segnati dalla solidarietà e dall’onestà. Tali stili di vita dovrebbero essere qualcosa di ordinario nella vita di ogni persona. Si tratta principalmente di buon senso e di un po’ di sensibilità ai bisogni altrui.

Proviamo dunque ad affrontare il problema del debito in una chiave più biblica. L’esortazione dell’apostolo Paolo, che riduce tutti i conti aperti ad un unico debito d’amore, è molto profonda e quasi poetica. Tuttavia, la sua applicazione letterale e immediata all’economia odierna potrebbe provocare una crisi dalle dimensioni incalcolabili. Il punto è che tutti i beni e servizi possono essere monetizzati, l’amore invece notoriamente non si lascia trasformare in denaro, ad eccezione del mero amore fisico. È dunque abbastanza ovvio che l’etica di Paolo sviluppata nella Lettera ai Romani (13, 8-10) è un’etica della speranza. L’apostolo è ben radicato nel presente, nel superamento della Torah, operato da Dio per mezzo di Gesù Cristo, ma il suo sguardo punta al futuro; un avvenire irraggiungibile dal punto di vista umano ma non irreale. La realtà dell’amore reciproco coincide con l’esistenza del mondo intorno a noi, creato e governato da Dio che «ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19b). Le risorse per rendere visibile e concreto tale amore non vanno cercate nella nostra umanità fragile e inaffidabile. In questo caso dobbiamo per forza diventare debitori di Dio.

Di fatto lo siamo già. Detto più biblicamente: abbiamo una linea di credito inesauribile. Noi ovviamente non saremo mai in grado di saldare per intero questo debito, per di più Dio non pretende neanche gli interessi. L’unica condizione del credito è che la ricchezza ricevuta deve essere condivisa con gli altri. Si tratta prima di tutto della ricchezza spirituale contenuta nel Vangelo affidatoci. Poi c’è il dono del tempo, entro il quale costruiamo la nostra esistenza, le relazioni e gli affetti che rendono tale esistenza completa e, infine, nel nostro paniere, troviamo anche dei beni materiali. L’intera dote deve essere messa a disposizione degli altri, ora e qui, «nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio» (Rm 8,21).
La Lettera ai Romani non sembra suggerire una penosa privazione compiuta a malincuore; una lettura attenta insegna piuttosto una gioiosa solidarietà, radicata nel presente e rivolta verso il futuro, tanto quello escatologico quanto questo immediato dell’umanità.

 
   
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