Il termine "geremiade" esiste nella gran parte delle lingue europee. È un esempio del fatto che la nostra cultura attinge – consapevolmente o inconsapevolmente – spesso i propri modi di esprimersi dalla Bibbia. Il più delle volte questo termine viene usato in un'accezione piuttosto negativa: un discorso lungo e lamentoso che sa di disfattismo o che denota l'incapacità d'azione da parte di chi lo pronuncia. Basta però conoscere un po' il libro del profeta Geremia per comprendere l'infondatezza di tale interpretazione del nostro termine. Geremia è uno dei personaggi più luminosi e capaci d'azione che la storia del regno di Giuda abbia mai conosciuto. La sua "sfortuna" è stata di vivere in un tempo in cui il nabij (profeta, veggente) era chiamato ad annunciare la guerra e la distruzione anziché la pace e la prosperità.
Il castigo annunciato dal profeta Geremia non ha nulla a che vedere con uno scoppio incontrollato di collera divina. Non si tratta neanche dell'effetto di una giustizia immanente e retributiva secondo la quale il colpevole deve essere necessariamente punito (e il giusto premiato). L'oracolo vale per tutti, buoni e cattivi, giusti ed empi. Si tratta di annunciare l'esecuzione di un programma ben fissato il cui senso ultimo si rivelerà alla fine di un percorso lungo e articolato quando la pace vera ed eterna regnerà su tutto ciò che esiste. I "giorni a venire", espressione usata spesso da Geremia non sono un rimando alla "fine del mondo" ma a un tempo che sicuramente i destinatari diretti del messaggio non potranno sperimentare, le generazioni future tuttavia comprenderanno il senso della profezia. Infatti, guardando la storia del Popolo eletto dal nostro punto di vista possiamo comprendere bene il senso dell'oracolo.
Concentriamoci però sulla citazione posta all’inizio di questa meditazione. Immagini dotate di enorme potenza espressiva stanno alla base di questo versetto. L'immagine del fuoco compare già in Geremia 20,9: «Se dico: "Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome", c'è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso». L'immagine del martello ritorna invece nella parte finale del libro di Geremia: «Come mai si è rotto, si è spezzato il martello di tutta la terra? Come mai Babilonia è diventata una desolazione fra le nazioni?» (50,23); «O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni» (51,20).
Queste immagini mi fanno riflettere sulla predicazione. Non è raro che la predicazione diventi un esercizio di retorica svolto per conquistare consensi e simpatie personali. Si predica ciò che la maggioranza (o una minoranza particolarmente influente in una comunità) vuole sentire. I risultati di tale predicazione sono di solito devastanti. La predicazione della Parola di Dio non deve creare consensi simili a quelli necessari nel campo politico. Al contrario, essa talvolta genera dissensi perché le logiche umane tendono a prevalere sulla logica di Dio, senza rendersi conto che tale prevaricazione è sempre deleteria.
Credo che per tutte le chiese cristiane sia oggi necessario rimettersi intorno a una Bibbia aperta per interpretare alla luce della Parola sia problemi interni, sia le sfide che ci pone la società intorno a noi. Facendo tale percorso di riflessione e di preghiera l'Eterno farà sì che prima o poi comprenderemo con tutta la lucidità di cui siamo capaci la Sua volontà senza confonderla con i nostri desideri umani. |