Ecco il cuore della fede dei tessalonicesi, una confessione che dobbiamo sempre fare nostra: crediamo nel Dio vivente. Eppure il Dio vivente non annulla la morte, non cancella la sofferenza, non promette l’impossibile. Dio desidera la vita per le sue creature. Il paradosso della nostra fede sta proprio qui: sappiamo che Dio è vivente e creatore di vita, nello stesso tempo viviamo la morte, ci imbattiamo nelle tragedie nostre o dei nostri cari, la morte vaga sempre e rode la nostra certezza della vita. La tensione tra il Dio vivente e la persistenza della morte ci mette in crisi come esseri umani e come credenti. Siamo costretti a fare i conti con un’aporia: il nostro Dio è un Dio di vita ma la morte non muore!
Questa via stretta ci porta a considerare con gli occhi della fede le questioni legate all’accanimento terapeutico o alle diagnosi prenatali in caso di gravi patologie del feto. Guardare con gli occhi della fede vuol dire appunto guardare, non essere accecati da certezze inflessibili, tener conto della sofferenza attuale o futura di un essere umano, cercare di definire le condizioni di dignità della vita. Le innumerevoli possibilità del mondo scientifico e tecnologico ci spingono a confrontarci con domande sempre più complesse, a volte addirittura drammatiche o insopportabili perché esse riguardano la vita o la sopravvivenza di un essere umano.
Eppure questo siamo chiamati a dire ai credenti che si rivendicano difensori della vita a tutti i costi: il Dio vivente desidera una vita piena per le sue creature, una vita portatrice di futuro e di speranza. |