Il versetto si trova negli scritti del profeta chiamato il terzo Isaia ed è intriso dei temi cari a questo anonimo profeta del periodo della restaurazione d’Israele dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia (attorno al 530 a. C.). I temi centrali del profeta sono la giustizia e il culto autentico, argomenti che il lettore biblico conosce già dai profeti Amos, Osea, dal primo Isaia e Geremia.
Il profeta si scatena contro le persone che osservano scrupolosamente le norme religiose, che però nell’osservanza rigorosa perdono di vista il punto essenziale che sta invece a cuore del profeta: la giustizia e la compassione. Senza praticare la giustizia, la devozione rimane vuota e manca di autenticità.
Il profeta afferma che la malvagità e l'ingiustizia incatenano, opprimono, soggiogano. Oggi, più che mai nei tempi di crisi ciò è davanti a tutti. I primi a sperimentarlo sono i migranti quando arrivano qui trattati come dei criminali e chiusi in CIE (centri di identificazione ed espulsione). Sono le vittime della tratta sia a scopo sessuale sia a scopo lavorativo che vivono come schiave, incastrate in un sistema di violenza e oppressione.
Il testo afferma che questo non può essere. Dove c’è il popolo di Dio e dove c’è osservanza religiosa non può e non deve mancare la giustizia, e perciò si devono spezzare le catene. Come? Tutto il discorso del profeta culmina nei versetti del capitolo 61 che vengono citati da Gesù nella sinagoga di Nazaret, cioè nel riferimento al giubileo biblico che diventa anche oggi sempre di più la misura per affrontare le catene dell’attuale sistema neoliberista che schiaccia la gente e devasta la natura. |