L’Evangelo di Luca ci racconta che tutti i passaggi più importanti della vita di Gesù sono segnati dalla preghiera. Per questo, un giorno un discepolo gli ha chiesto: «insegnaci a pregare». La domanda ci appare strana: è possibile mai che un ebreo (il popolo dei Salmi) non sappia pregare? Ma diventa più chiara se la comprendiamo come la richiesta di avere una preghiera specifica dei discepoli del Rabbi di Nazareth, come Giovanni il Battista ha insegnato ai suoi. Il Maestro risponde insegnando il Padre Nostro, una preghiera chiaramente indirizzata verso la venuta del Regno di Dio, in cui tutto, anche le richieste più personali, fa riferimento a questa realtà attesa e sperata.
Inoltre, il Padre Nostro è una preghiera comunitaria. «E’ stato un grave errore dei tempi moderni (pietismo, risveglio), scrive H. Gollwitzer, credere che la preghiera sia l’atto più individuale della spiritualità e che perderebbe, diventando collettiva, la sua serietà ed il suo contenuto». Noi abbiamo bisogno della comunità, anche nei nostri rapporti con Dio – non possiamo pensare di essere autosufficienti per affrontare da soli tutti i problemi della vita. Finiremmo per soccombere. Il culto e la preghiera comunitaria sono una parte di questo essere in comunione con i fratelli e le sorelle. Certo, noi protestanti non amiamo il brusio dell’assemblea che ripete insieme le formule di preghiera; ma quando è vissuto correttamente, questo è il segno della comunità, non dell’aridità spirituale.
La preghiera, infine, si presenta come una disciplina. Se uno aspetta «il momento in cui è ispirato» per fare una preghiera vera e seria, aspetterà invano, perché il momento non verrà mai. La disciplina nella preghiera ci permette di tenere aperti i canali di comunicazione con Dio, in modo da lasciar passare la Sua parola di consolazione e di grazia. |