Dalla lontana America arrivano mostri e zucche illuminate. La globalizzazione che promette un incontro tra le diverse culture, di fatto fa operazioni di marketing che impongono il modello del più forte. E così, accanto al tradizionale cattolicissimo 2 novembre, si insidia in Italia la festa di Halloween, nella quale il teschio diventa una zucca e la morte è derisa. Quella morte che ci fa paura, che non riusciamo mai a pensare come la nostra morte, che tendiamo a rimuovere, incapaci di affrontarla. affrontarla. In questo ci aiuta la tv che, con la sovraesposizione, anestetizza i nostri sentimenti. Vediamo così tanti cadaveri da rimanere indifferenti. Non è difficile; lì i morti, per quanto reali, sono dematerializzati: non hanno odore, non ingombrano e la loro agonia dura solo pochi secondi. Anche le nostre emozioni si adeguano ai tempi televisivi e passano velocemente dall’indignazione al sorriso, quando vengono accostate notizie di guerra e sfilate di moda. Il versetto più breve della Bibbia è inserito in un contesto di morte. «Gesù pianse». Due parole per descrivere il moto emotivo di Gesù alla notizia della morte dell’amico Lazzaro. Pur essendo il Signore della vita, Gesù scoppia in lacrime davanti al sepolcro.
Si tratta, dunque, di riscoprire i cimiteri? Sono questi che possono aiutarci a uscire dal torpore delle morti mediatiche? Probabilmente no. Il luogo della morte più che fisico è esistenziale. Per Gesù è il luogo dell’amicizia: la commozione sorge di fronte ad un volto, a un nome proprio. Si rispettano i morti quando si fa memoria della loro storia strappandoli all’oblio e all’anonimato. Affidiamo a Dio i nostri morti, fiduciosi nella risurrezione; a noi, tuttavia, è consegnata la cura della memoria.
La morte non è una categoria astratta; è sempre la morte di qualcuno: un volto, un nome, un amore. Anche se ridotta a scherzetto, non è barattabile con un dolcetto. Gesù muore sul luogo del Cranio. Guai a farci credere che è il luogo della zucca! La globalizzazione non banalizza e massifica solo i prodotti o i valori culturali, ma colpisce al cuore la stessa fede, perché rischia di modificarne lo sguardo. La fede cristiana, centrata sul Dio crocifisso, ci chiede di tenere fisso lo sguardo sulla scena del Golgota, di fare i conti con la morte, di non rimuoverla. Certo, bisognerebbe ricordare l’intera parabola di Halloween. Come il nostro carnevale: in origine momento utopico nel quale le sorti si rovesciano e l’uomo qualunque può diventare re mentre il re viene sbeffeggiato. Così a Halloween la morte veniva irrisa in nome del Dio della vita. Entrambe le feste, tuttavia, non sono più in grado, oggi, di porsi come sfida: quei gesti di protesta contro la morte e l’ingiustizia sociale sono stati addomesticati e ridotti a evento commerciale. Se il capovolgimento ironico ha lasciato il posto alla rimozione divertita, le lacrime di Gesù ci richiamano alla serietà di un amore più forte della morte, vissuto come passione capace di risvegliarci dal cinismo.
Tratto da Riforma del 4 novembre 2005 |