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IL VANGELO OGGI
 
L'attesa
di Giovanna Pons

«Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando Egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo come Egli è»
(I Giovanni 3, 2)

«Dio ci vuol fare «simili a lui» malgrado la nostra umanità compromessa dal peccato. E ci vuole talmente fare simili a lui che ci chiama «figli». E lo siamo realmente perché Dio non è un solitario, «Dio è amore» e vuole condividere con noi la sua divinità. Il punto di contraddizione sta nel fatto che l’umanità non ha più tempo per l’attesa in quanto vuole ora e subito essere come Dio: l’umanità è entrata in concorrenza con Dio. Concorrenza vuol dire lotta per il potere, innanzitutto per il potere della conoscenza, in modo da diventare i più forti e farcela da soli. La Repubblica del 19 novembre ci dà notizia che in questi giorni la scienza potrebbe essere riuscita ad indicarci la strada dell’immortalità. Infatti una ricerca condotta da un genetista italiano ha creato in laboratorio organismi in grado di vivere sei volte più a lungo del normale: l’esperimento è stato finora limitato a esseri monocellulari, ma aumenta la speranza di riuscire in futuro a rallentare l’invecchiamento anche negli esseri umani. L’articolista poi commenta: «Se non morissimo mai, o vivessimo molto più a lungo, la popolazione della terra esploderebbe, sollevando il problema di dare una casa e sfamare decine di miliardi di persone».

Noi ci rallegriamo per i progressi della scienza: sono questioni appassionanti che, se usate con il rispetto dovuto alla creazione di Dio, non possono che contribuire al bene dell’umanità a cui apparteniamo. Le parole dell’Apostolo Giovanni però non ci dicono che Dio vuole renderci sempre più simili a noi stessi, ma che vuole renderci simili a Lui. E per diventare simili a Lui non ci chiede di seguire il cammino di un’umanità che crede in un progresso continuo e inestinguibile, ma di incarnare la prassi di suo Figlio, che «abbassò se stesso» condividendo con noi l’intero suo «essere». Gesù infatti si è fatto simile a noi: «Le nostre mani l’hanno toccato, i nostri occhi l’hanno veduto», dice l’apostolo. Quindi Dio non si è messo in concorrenza con noi, non ci ha sfidati con la sua onnipotenza, ma ha preso su di sé il nostro peccato giungendo sulla terra come un’umile luce «vera», in mezzo a tante luci false, che brillano nel buio del nostro mondo.

Tutto ciò è già avvenuto, per questo oggi siamo chiamati a un’altra attesa, quella della manifestazione di Dio non più nella nostra umanità, ma nella sua divinità. Premesso che il progresso scientifico non può essere inestinguibile perché avviene su un pianeta destinato ad estinguersi, se la scienza riuscirà a prolungare la nostra vita, non temiamo per la casa o il cibo, ma riconosciamo la grazia del Signore nel tempo che Egli ancora ci dona (cfr. Luca 13, 9), per attendere con fede il compimento della sua promessa. Perché Dio ci ha destinati a condividere l’eternità di Cristo e non quella che l’essere umano ha la pretesa di raggiungere con i propri mezzi.

Tratto da Riforma del 9 dicembre 2005

 
   
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