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IL VANGELO OGGI
 
Per una cultura del dono
di Ulrich Eckert*

Di fronte a 650 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno

La Conferenza mondiale per il commercio di Hong Kong ha deluso le attese dei paesi più poveri.Le chiese cristiane non si accodino alle logiche del profitto

Eccoci al Natale. Nessun’altra festa riesce ad affascinarci così tanto per il suo dono, offerto da Dio gratuitamente al mondo intero. Non a torto, il Natale rievoca in noi la voglia, la fame di profonda pace, di giustizia che renda dignità agli ultimi e di serenità ai più svariati livelli della convivenza tra le creature di Dio. Temi questi non solo delle celebrazioni liturgiche ma anche attuali in ben altre sedi: all’Onu, nei Parlamenti, nelle associazioni ma soprattutto nelle case delle persone che si scoprono, volenti o nolenti, parte integrante del grande mercato globalizzato.
Il dono di Dio, il dono che è Dio, accanto alla sete di pace, giustizia e serenità. Il dono di Dio in mezzo alla clamorosa assenza di vera pace, a una giustizia frutto di condivisione, a serenità costruita sul dialogo tra persone, religioni e popoli. Eppure di doni e di prospettive positive per la comunità mondiale si è parlato tanto negli ultimi tempi. Basti pensare alla conferenza ministeriale del Wto conclusasi pochi giorni fa a Hong Kong, città simbolo per gli spostamenti avvenuti a scala mondiale in campo economico tra «Ovest» e «Est» ma non tra «Nord» e «Sud». Tra i grattacieli di stampo occidentale con lo yin e lo yang [simboli del maschile e del femminile nella tradizione del confucianesimo, ndr] ben presenti, i ministri hanno raggiunto un’intesa su come ammettere al tavolo dei grandi global players economici, molto gradualmente, anche le economie finora tenute fuori e oppresse dalle regole dettate proprio dal Wto e dalla Banca mondiale. Mentre nel «Belpaese» i giornali si sono occupati di confusioni e collusioni tra finanza, politica ed economia, e mentre nell’Unione europea si è per poco evitato una spaccatura proprio sul bilancio comune per il 2006, in Oriente sono quindi state mescolate le carte per suddivisioni e spartizioni a scala globale. Con il risultato, tra l’altro, che le popolazioni dei paesi statisticamente più ricchi nel mondo, tra cui l’Italia, dovranno stringere un po’ di più la cinghia.

Ma non sarebbe né cristianamente né umanamente giusto soffermarci su questo aspetto, aspetto forse doloroso ma non affatto centrale della faccenda, mettendoci a fare pianti greci (e anche italici) mentre accanto a noi, accanto anche all’Europa, ci sono popolazioni intere soggette alla fame, costrette ad attendere che, per bontà dei global players e dei governi potenti da loro influenzati, possano attendersi qualcos’altro che non briciole e altre forme di elemosine. Le conoscenze della storia degli ultimi secoli e la fede nel Cristo nato povero come dono per il mondo intero, ci possono e ci devono quindi spingere oltre. Anzi, entrambi questi fattori, seppur così diversi tra di loro, possono aiutarci a cambiare proprio prospettiva.
La storiografia è divenuta attenta, negli ultimi secoli e sempre di più nel Sud del mondo, all’importanza di ogni singolo individuo e di ogni popolazione per l’insieme del mondo globale e sempre più mondializzato. E se leggiamo nella Bibbia dei due Testamenti, vediamo che è proprio Dio stesso colui che vuole innalzare gli umili, che indirizza grazia e giustizia alla gente affamata e che decide di rivelare persino se stesso in un bambino senza alcun potere nello «scantinato della storia». La divina opzione a favore della gente dimenticata (senza distinzione di genere, di colore della pelle, di grado di alfabetizzazione o di aspettativa di vita) è per noi scomodo. Ma proprio lì possiamo scorgere l’approccio misericordioso, l’azione di grazia che Dio continua a mettere in campo per permettere serenità e gioia, condivisione e benedizione a tutte le persone a cui ha affidato la creazione come ambiente di vita. Il dono che Dio fa a questo mondo di se stesso, non è limitabile alla sfera asetticamente spirituale o caritatevolmente buonista. La gratuità della sua grazia contagia proprio i rapporti interpersonali che comprendono anche la fame, il diritto di un trattamento dignitoso per tutti, ecc.

Proprio per persone credenti in Gesù Cristo, può quindi essere molto importante seguire le orme d’amore e di giustizia di Dio entrando decisamente in contatto, in dialogo e anche in rotta di collisione con i luoghi e le strategie deputati a gestire e guidare il commercio, la finanza e l’economia mondiali e quindi globalizzati. È questa la linea che in molte realtà del mondo spinge chiese cristiane, movimenti religiosi e non, donne e uomini a impegnarsi sempre più insieme per un cambiamento fattivo e profondo della situazione economica mondiale. Per dire basta a una cultura che spaccia condoni per doni, che tramuta persone in consumatrici, che promette pace vendendo le armi, che promette di cambiare quasi tutto per poi non cambiare quasi niente.
In vista dell’ormai prossima IX Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (febbraio 2006 a Porto Alegre in Brasile), è stato pubblicato un documento preparatorio che ben evidenzia i contrasti stridenti che a tutt’oggi dividono il mondo in zone forti e in zone dimenticate, in zone economicamente appetibili e altre solo sfruttabili dove non si riceve niente gratis, nemmeno le medicine di base o la formazione scolastica minima. Nel documento del titolo «Agape» (cioè «globalizzazione alternativa rivolta ai popoli e alla terra») si parla pertanto della sfida dell’agape, di quell’amore che fa dono di se stesso. Sulla scorta di quanto chiese protestanti e ortodosse in tutto il mondo hanno sperimentato ed elaborato, vengono elencati e tradotti in azioni e cambiamenti fattibili i contrassegni di una vera cultura del dono e della condivisione, in riferimento ad ambiti molto complessi e concreti come il commercio giusto, la finanza giusta, la salvaguardia del creato.
Il Natale 2005 rivolge anche a noi una grande sfida benedetta: quella di condividere a scala locale e globale il dono dell’amore gratuito di Dio invocando proprio l’azione trasformatrice di Dio e vivendo di conseguenza, poiché: «Dimmi con chi condividi e gioisci, e ti dico chi sei».

*pastore luterano a Milano, membro della Commissione «Globalizzazione e ambiente» della FCEI

Tratto da Riforma del 23 dicembre 2005

 
   
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