È ormai un’avventura giornaliera che spezza la monotonia: si apre un quotidiano, si guarda un telegiornale e si trova sempre qualche novità dal mondo economico italiano, in particolare da quello bancario. Pur capendo poco o niente di economia, ormai il risparmiatore medio ha perso quel po’ di fiducia che poteva avere in coloro che, per mestiere, gestiscono i soldi altrui. Nessuno si aspetta che una banca sia un ente benefico e che esista solo per far piacere ai suoi clienti, ma è legittimo attendersi, in un ambito in cui si maneggiano cifre considerevoli di denaro che si ha in affidamento, almeno un minimo di serietà. Invece assistiamo a un’italianissima gara fra furbi, in cui chiunque sia investito di un minimo potere decisionale lo utilizza per scavalcare avversari, regole e soprattutto la fiducia dei comuni cittadini.
Davanti ad avvenimenti come questi viene quasi spontaneo porsi domande che sembrano provenire da tempi remoti, domande che possiamo aver sentito spesso, ma che non abbiamo mai preso molto sul serio: se è il denaro, o meglio l’ansia di possederne in quantità sempre maggiori, esagerate, a trasformare la vita di uomini e donne tale da renderla qualcosa di non veramente umano, questo denaro è buono o cattivo? La ricchezza è un male da fuggire e soltanto la scelta per una povertà radicale è accettabile? E soprattutto ci è lecito, in quanto credenti, occuparci di qualcosa che pare così apertamente cattivo? Domande che vogliono ritornare attuali, che chiedono di essere prese sul serio. Ma anche domande alle quali, nella prospettiva dei figli e delle figlie di Dio, possiamo e dobbiamo dare una risposta precisa.
È inutile nascondersi dietro una presunta cattiveria del denaro, in quanto, come ogni strumento nelle mani dell’umanità, non è buono o cattivo in sé, ma dipende dall’uso che ne viene fatto. Per usare le parole dell’apostolo, il problema sorge quando il denaro, da strumento che si rende utile nelle nostre vite, diventa oggetto d’amore. Quando questo succede siamo noi a diventare un suo strumento e non ci rendiamo conto che da mezzo, il denaro è diventato il fine delle nostre vite. Possiamo poi sgombrare il campo da ogni moralismo più o meno nascosto: il nostro compito di credenti non è quello di separarci da questo mondo malvagio con le sue tentazioni, quasi noi fossimo puri e incorrotti in un universo di cattiveria. Se vogliamo essere fedeli discepoli di Gesù Cristo è in questo mondo che siamo chiamati a portare la testimonianza della sua parola che libera anche dalle schiavitù più allettanti, proprio come quella della ricchezza facile e rapida. E una testimonianza sincera che possiamo dare, è vivere e affrontare ogni cosa, anche le questioni economiche, riconoscendo che la nostra vita non è in quello che possiamo compiere, ma in Dio e nei suoi doni che ci accompagnano giorno per giorno.
Tratto da Riforma del 20 gennaio 2006 |