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IL VANGELO OGGI
 
I nostri pesi
di Renato Maiocchi

«Guai anche a voi, dottori della legge, perché caricate le genti di pesi difficili a portare e voi non toccate quei pesi neppure con un dito!»
(Luca 11, 46)

Anche sui temi etici, spesso strumentalmente evocati nel dibattito politico del nostro paese (pacs, aborto, omosessualità, eutanasia...) il riferimento abituale non è alla Bibbia ma alla «Chiesa» (al singolare, naturalmente), termine con il quale non si intende la comunità dei credenti ma la gerarchia. Questa mette in campo «principi non negoziabili», leggi caricate sulle spalle dei credenti senza alcuna considerazione della loro situazione concreta e delle loro difficoltà.
Non mi sembra questo l’atteggiamento di Gesù. Accusato più volte, con il suo comportamento, di violare la legge, risponde che non è venuto ad abolirla ma a «portarla a compimento». E che cosa intenda lo spiega in più occasioni: la legge è uno strumento a favore dell’uomo («il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato»): se voi con una osservanza formale, astratta, finite per stravolgerne il fine, la usate contro l’uomo.

Questo ci dovrebbe indurre a riflettere. È giusto dire a una donna che non deve abortire, quando si osteggia la diffusione dell’educazione sessuale, si vieta l’uso dei contraccettivi e si scarica sulla donna il peso delle difficoltà economiche, sociali, culturali che la costringono a questa scelta dolorosa? Che cosa si è fatto per portare con lei questi pesi? È giusto dire a chi agonizza fra atroci sofferenze che non ha diritto di por fine ai suoi tormenti, quando si osteggia l’uso di sostanze che potrebbero alleviare il dolore e si arriva ad attribuire un valore salvifico alla sua sofferenza?

Ogni volta che Gesù incontrava una sofferenza, operava per guarirla, anche quando era considerata frutto del peccato. E nei pochi casi in cui è stato provocato a condannare qualcuno, per dimostrare che obbediva alla legge, non l’ha negata ma vi ha contrapposto il perdono e la misericordia. «Molto le sarà perdonato perché ha molto amato», dice della prostituta che lo ha ricoperto di baci e di profumo. «Neppure io ti condanno», dice all’adultera che secondo la legge doveva essere lapidata. Certo, aggiunge: «va e non peccare più»: non abolisce la legge, non giustifica l’adulterio, ma annuncia a tutti la possibilità di essere perdonati, perché il Padre che lo ha mandato è un Dio d’amore, un padre straordinario come quello del figliol prodigo. E quando parla di un giudizio finale che separerà i giusti dagli ingiusti, l’unica colpa che imputa a costoro è che non hanno alzato un dito per alleviare le sofferenze dei minimi.

Perciò, nessun relativismo: ci sono scelte a favore della vita, nostra e del nostro prossimo, e scelte dolorose che rappresentano una caduta, una sconfitta. Ma prima di giudicare, abbiamo davvero fatto tutto il possibile per non lasciarne il carico interamente su coloro che si sentono costretti e compierle? E di fronte a una sconfitta, siamo capaci di aiutarli a ricominciare, a lottare insieme «contro ogni mal che l’uom travaglia»?

Tratto da Riforma del 28 aprile 2006

 
   
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