Nel film di Roberto Faenza «Alla luce del sole» su Don Pino Puglisi, c’è una scena divertente in cui Don Puglisi, in macchina con alcuni bambini del quartiere Brancaccio di Palermo, chiede: «Chi mi sa dire l’ottavo comandamento?». E uno di loro risponde: «Non testimoniare!». Al che Don Puglisi replica sorridendo: «Non dire falsa testimonianza! Testimoniare va bene, dire il falso è sbagliato». Nelle ingenue parole del bambino si scorge quel codice d’onore tipico della cultura mafiosa o dell’illegalità per cui chi va a testimoniare, a dire la verità, a raccontare tutto a un giudice è uno «sbirro», uno spione, uno senza dignità, come a esempio i pentiti.
Mi è venuto in mente questa scena pensando al recente interrogatorio al neo eletto presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, accusato di favoreggiamento a Cosa Nostra in occasione del «processo talpe» sul rapporto tra mafia, politica e sanità. Mi sono chiesto quale impatto può avere il comandamento di Esodo 20 su un uomo come lui, impegnato nella cosa pubblica con una responsabilità particolare e portatore di valori cristiani, chiamato a non attestare il falso in un processo che riguarda la collettività: quanta gente ha pagato i costi gonfiati delle prestazioni specialistiche delle strutture sanitarie private per salvarsi la vita!
Originariamente, il comandamento di Esodo 20 si riferiva essenzialmente alla falsa testimonianza nei procedimenti giudiziari e la pena prevista era molto severa, non solo perché si trattava di un’offesa nei confronti di un’altra persona, ma soprattutto perché screditava la giustizia in sé basata su un rapporto di fiducia. Un comandamento, dunque, fatto per tutelare i singoli individui, ma anche per il benessere della comunità che dipende dalla fiducia reciproca. Oggi siamo abituati a una giustizia screditata, a processi eccellenti in cui non si giunge mai alla verità, a stragi impunite. È del tutto assente nella nostra società un atteggiamento di fiducia reciproca che dovrebbe stare alla base della giustizia, e invece regna il sospetto e la sfiducia. Sembra proprio che il senso del comandamento di Dio venga calpestato e svuotato ogni volta che in un’aula di tribunale non si arriva alla verità dei fatti.
Se i credenti in Gesù Cristo sono chiamati a essere il «sale della terra», allora la nostra vocazione è di essere annunciatori di verità, proclamatori e banditori del vero, proprio come ci dice Gesù: «non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi nell’orecchio, predicatelo sui tetti» (Mt 10, 25-27). Una parola che forse qui in Sicilia brucia più che altrove, ma che risuona ovunque la verità è soffocata o calpestata. Non attestare il falso contro il prossimo, dire dunque la verità per il prossimo, è l’inizio di quella libertà che ci è spesso negata e che solo Dio può restituirci.
Tratto da Riforma del 23 giugno 2006 |