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IL VANGELO OGGI
 
Terra asciutta
di Marcello Salvaggio

«E il Signore diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sull’asciutto»
(Giona 2, 11)

Lo scrittore Erri De Luca, nella sua traduzione del libro di Giona, fa notare come in ebraico il termine usato per descrivere la «terra asciutta» su cui Giona venne vomitato dal pesce è lo stesso che si trova nel libro della Genesi alla fine del diluvio, quando Noè, scoperchiando l’arca, vide che la superficie del suolo era asciutta. La terra asciutta di Noè è l’inizio di una nuova vita, segno della ritrovata grazia di Dio, terra di salvezza. Così come per Giona l’asciutto è l’inizio di un viaggio che lo porterà ad annunciare un giudizio che comporterà la salvezza per la città di Ninive. La terra asciutta diventa dunque terra di salvezza così come fu per i figli d’Israele quando attraversarono il Mar Rosso.

L’episodio raccontato dal libro di Giona ricorda molto i tanti fuggiaschi «extracomunitari» che, dopo lunghi viaggi e rischiose traversate del mediterraneo a bordo delle cosiddette «carrette del mare», vengono letteralmente vomitati sulle nostre coste. Si tratta di persone che, scappando da situazioni inimmaginabili per noi, cercano davvero terre di salvezza dove poter sperare in una vita dignitosa tanto quanto la nostra. Sono di alcune settimane fa le notizie quasi quotidiane di sbarchi di cinquecento, seicento immigrati con continue emergenze annunciate. Le nostre coste sono per questi immigrati quella terra asciutta dell’antico testamento dove si approda o si è vomitati e che diviene per grazia di Dio terra di salvezza. Sono terra asciutta le nostre spiagge dove, in questi giorni e nei mesi prossimi ci recheremo in molti in cerca di ‘salvezza’ dal caos e dal tran-tran quotidiano. Ma questa terra che è anche terra di confine e d’incontro dove poter sperimentare insieme il dono della grazia di chi accoglie e di chi è accolto, si trasforma molto spesso in terra d’indifferenza e d’ingiustizia. Le nostre coste sono terra fangosa dove si sprofonda nella clandestinità o nello sfruttamento. Chi arriva da noi viene accolto nei famosi Cpt che diventano luoghi di detenzione e non di rado di repressione violenta.

Di fronte a questa situazione, vengono in mente le parole del sermone sul monte in cui Gesù dice: «Ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m’accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione e non mi visitaste» (Matteo 25, 42-43). Siamo chiamati da Gesù all’accoglienza, ad essere quella terra asciutta che può costituire occasione di salvezza per molti, in cui si aprono prospettive nuove di speranza e di vita. Come Giona portava con sé una parola di giudizio per la città di Ninive, così anche i tanti immigrati che giungono sulle nostre coste portano per noi una parola di giudizio, contro il nostro egoismo e la nostra arroganza. Essa è per noi un invito alla conversione così come lo fu per i Niniviti. Convertiamoci dunque per diventare terra di accoglienza, di solidarietà, di giustizia; per diventare insieme quella terra asciutta che può diventare terreno di grazia e di salvezza per molti.

Tratto da Riforma del 30 giugno 2006

 
   
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