Il popolo dei migranti, gente che fugge dal paese d’origine a motivo di guerre o carestie, persecuzioni religiose, politiche o semplicemente per cercare altre opportunità di vita, è in continuo aumento. Nessuna legge, né dei paesi di partenza né quelli di arrivo, potrà mai fermare questo triste e coraggioso esodo. I migranti che giungono nel nostro paese vivono le stesse situazioni di lacerazioni e di dolore che hanno vissuto i nostri emigrati per l’abbandono della propria terra e degli affetti più cari. Nelle comunità dove ho svolto il mio ministero quasi ogni famiglia aveva e ha parenti all’estero. Tutti hanno vissuto le difficoltà sul piano sociale del riconoscimento e dell’accoglienza. L’unica «casa» dove sono stati accolti e aiutati è stata per molti la chiesa.
Molti immigrati ora provengono da paesi islamici o da paesi ortodossi, e mai abbiamo chiesto o pensiamo di chiedere certificati di appartenenza confessionale a chi bussa alla porta delle nostre chiese: l’accoglienza non fa discriminazioni. L’incontro con lo straniero deve essere testimonianza visibile che «Dio è amore» (I Giov. 4, 16). La terza lettera di Giovanni non solo ci indica il cammino da intraprendere per accogliere gli stranieri, ma ci chiede di riconoscere i testimoni della nostra fede che arrivano da altri luoghi, di vivere l’esperienza di «Essere chiesa insieme».
Molti migranti in Italia sono evangelici. Fratelli e sorelle, membri di comunità cristiane nate dalla predicazione di missionari delle chiese europee che bussano alle nostre porte. Ci chiedono di essere dei testimoni del Vangelo che abbiamo annunciato nelle loro terre e qualche volta anche imposto; ci interrogano con insistenza sulla nostra fede, sui differenti linguaggi liturgici. Allora non può più essere solo accoglienza fraterna, essi diventano parte integrante delle nostre chiese. La condivisione comune della Parola di Cristo, diventa testimonianza di giustizia che coincide con la grazia di Dio. Diventa l’annuncio dell’universalità della Parola. Diversi, ma uniti, nelle reciproche diversità dalla fede comune.
Oggi nessuno di noi è rimasto quello di prima. Il dialogo e il confronto, quando si vivono seriamente, ci arricchiscono, ci cambiano. Le chiese sono i luoghi dove possiamo sperimentare la pluralità, la diversità. L’ascolto di storie di fede diverse dalle nostre portano un «soffio» nuovo per tutti, le loro storie di vita ci aiutano in una riflessione sui loro paesi d’origine e sul nostro. Tutto deve svolgersi nella reciprocità e con «l’allegrezza» della condivisione e dell’amicizia. Le chiese che da anni vivono questa realtà scoprono che dal punto di vista cristiano lo straniero non esiste più. Cristo ha fondato una nuova identità estranea alla logica delle nostre società. In una antica lettera un cristiano scriveva: «I cristiani vivono nelle loro nazioni come stranieri: essi partecipano come cittadini, ma rimangono come forestieri; ogni terra è la loro nazione e ogni nazione è terra straniera». Siamo tutti stranieri in cammino verso Dio.
Tratto da Riforma del 2 febbraio 2007 |