C’è uno spiritual afroamericano che si trova nell’innario Cantate al Signore che dice: «O Signore cammina con me/ In questo mondo son pellegrino/ O mio Signore, cammina con me». Confesso che mi piace molto questo canto, meriterebbe un testo migliore! Probabilmente la sua ispirazione viene dal testo del Deuteronomio (31, 8) che fa parte delle «consegne» di Mosè al suo successore Giosuè alle soglie di entrare nella terra promessa. Le parole sono tutte importanti: «il Signore cammina egli stesso davanti a te». «Cammina», non «sta fermo» a consolarti; ma «cammina»: la storia di Abramo si apre con un «va». Se Abramo non fosse «andato», dobbiamo pensare a un Dio che sarebbe rimasto con lui nella tenda, solo per accontentarlo nei suoi desideri?
E noi, che cosa stiamo facendo? Stiamo camminando o siamo fermi? Camminiamo da soli o nella beata «compagnia dei santi», sostenendoci a vicenda, portando in braccio i bambini e in carrozzella gli anziani? Il testo dice ancora: il Signore «egli stesso», non un altro (potrebbe anche essere un altro?!) e continua: «cammina davanti a te». È anche possibile che non sia «quello» (di Abramo, di Gesù) ma un altro, che ci sta portando altrove! E se stessimo seguendo invece Mammona, insieme a tanti altri nostri contemporanei?
Il corteo è in cammino verso «la terra promessa». Per i nostri progenitori valdesi era la libertà di coscienza e di culto, la libertà della testimonianza; è stata una conquista durissima, che oggi ancora ci commuove, ma che cosa ne facciamo ora della libertà di testimonianza? Ogni generazione, ma anche ogni persona, ha la sua «terra promessa», che è il progetto di vita individuale e comunitario. I giovani sognano un amore ricambiato, la coppia sterile dei figli, il vecchio o la vecchia di esser circondati dei parenti... Ma bisogna che tutti sogniamo un mondo in pace, nella condivisione delle risorse, nel giusto rapporto con la natura e fra i popoli.
Il canto dice : «Son pellegrino», che era il simbolo antico di questo «essere in cammino». Oggi dovremmo dire «migrante». Il pellegrino ha di solito una casa dove tornare dopo il suo viaggio. Il migrante invece è uno che cerca finché trova una terra che lo accolga. Se il punto in cui ci troviamo è un disastro di guerra, di fame, malattia, per tanta parte del pianeta, anche se non per noi, dovremmo essere molto a disagio e nella necessità di «migrare» verso forme di vita più giuste. Nulla è definitivo, ma la responsabilità è nostra di star dietro al Signore che è in cammino!
Qui però giunge la promessa: «Il Signore stesso sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà, non temere e non perderti d’animo». Non si tratta solo di parole consolatorie: chi ha fatto l’esperienza di camminare con il Signore, sa che questa compagnia è vera e profonda, che è di lunga durata e che va al di là delle nostre richieste. Sappiamo che riguarda la nostra microstoria personale e che riguarda altrettanto la vita della nostra chiesa e dell’intera umanità. Dio voglia che la meta sia l’unica, solo la sua.
Tratto da Riforma del 16 febbraio 2007 |