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IL VANGELO OGGI
 
Comprendere
di Alessandro Esposito

«Una parola ha detto Dio, due ne ho intese»
(Salmo 62, 11)

Dio parla: questa è probabilmente la caratteristica distintiva più peculiare del Dio biblico. Ma, ancor più, si può dire che Dio ci parla: ovvero che ogni sua parola, in fondo, nasce dalla sua bocca e dal suo cuore come parola rivolta a noi, come parola che ha quale scopo quello di interpellarci e provocarci, di far germogliare un dialogo e, pertanto, una relazione. Dio ci parla perché ci ama e, poiché ci ama, ci parla. Nella parola e della parola vive il vincolo che ci unisce a lui, poiché il parlare di Dio è un parlare fecondo, che, come nel racconto di Genesi, crea non appena avviene, genera con il solo scaturire dalle sue labbra. Nella lingua ebraica, infatti, il termine dabar indica, contemporaneamente e indissolubilmente, la parola e la cosa concreta, il fatto: quel che Dio dice si compie, perché, in realtà, si compie già mentre lo dice. Un compimento, certo, che ha i tratti sfuggenti e indefiniti della promessa: promessa da cui però, in noi, traggono nutrimento una fede e una speranza che son figlie dell’attesa. Quell’attesa in cui ciascuno di noi «sta come colui, colei che ascolta»; e ascolto che, a sua volta, diviene «l’attesa di Dio»: la nostra di lui, sì, ma anche la sua di noi. Poiché solo dall’ascolto nasce una risposta al suo appello come disponibilità a lasciare che egli agisca nelle nostre vite e le trasformi. E in questo disporsi Dio e la sua Parola vivono e si riverberano come un canto antico e sempre nuovo, poiché, come scrive il biblista Levie, «non possiamo attingere la Parola di Dio se non nella risposta che essa suscita in chi la riceve».

Oggi, in ogni ambito del vivere sociale e culturale, pertanto anche in quello religioso e teologico, si assiste a una tendenza tanto spiccata quanto preoccupante all’omologazione: un pensiero unico, impermeabile alle istanze critiche del dialogo e del dissenso, è infatti più controllabile e manipolabile. Ragion per cui il rapporto con Dio viene rigidamente relegato all’interno di schemi predefiniti e di formule preconfezionate. Quando il Dio biblico ci parla, però, intende affidarsi alla capacità creativa del nostro ascolto e di quell’agire che ne sgorga come uno zampillo dalla sua fonte. Dio infatti, nel suo comunicarsi a noi, non si svela ma si rivela, ovverosia, in un certo qual modo, «torna a velarsi»: perché rifiuta recisamente di consegnarsi nella sua totalità a qualsivoglia parola umana, che, come tale, è chiamata a farsi luogo dell’accoglienza e della ricerca di significati nuovi, non del possesso definitivo e codificato di una presunta (e presuntuosa) verità. Dio, così come l’amore, è sempre oltre, sempre altrove: un orizzonte dal quale ci è rivolta una Parola che intende orientare i nostri passi e venirci incontro lungo i sentieri delle nostre incertezze, che essa non rifiuta, ma accoglie e valorizza, al punto tale da risiedervi. Sia pure come costante invito a rimetterci all’ascolto con quel cuore che non può evitare, in una parola di Dio, di coglierne due.

Tratto da Riforma del 15 giugno 2007

 
   
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