Ormai da qualche anno la pubblicità natalizia comincia all’inizio di novembre, subito dopo quello che nella tradizione popolare è chiamato il «giorno dei morti», ben prima del periodo liturgico dell’avvento. A differenza degli altri anni, però, quest’anno i negozi non tengono alti i prezzi in previsione della forte richiesta, salvo poi concedere ribassi a feste finite, ma si assiste dappertutto a una diffusa pratica degli sconti, dovuta al timore fondato che le famiglie debbano far fronte a una ridotta capacità di acquisto. Questa situazione preoccupa molto, e non la dimentichiamo, come non dimentichiamo le spaventose crisi che travagliano il pianeta, se in questo periodo ricordiamo le ragioni profonde per festeggiare il Natale, e riflettiamo su quanto le festività natalizie si siano allontanate dall’annuncio che attraversa i secoli: «Oggi vi è nato un Salvatore, che è Cristo, il Signore».
Che cosa non va nell’attuale modo di celebrare questa festa? L’errore non consiste nell’intensificazione degli acquisti. Anche in un’economia sana si può avere il desiderio di festeggiare ornando le case, mangiando cose buone, procurando gioia con i doni. E non sbagliano i commercianti che, contando su tale desiderio, sperano di far crescere onestamente il bilancio della loro azienda. L’errore non sta neppure negli addobbi che, dalle case, si sono riversati sulle strade, riempiendole di luci di tutti i tipi e di figurazioni più o meno artistiche; si può ammettere che l’operazione contribuisca a trasformare la festa in un fatto sociale, in un’emozione condivisa, anche se, in una prospettiva di risparmio energetico che ormai si impone come necessaria, l’inondazione di luce elettrica comincia ad apparire come uno spreco irresponsabile.
L’errore consiste piuttosto nel separare la festa dalla vita normale. A questo errore se ne connette un altro: se la festa interrompe il corso ordinario della vita, che riprende come prima quando la festa è finita, allora nella festa non c’è spazio per il dolore. Se è Natale non c’è dolore; se c’è dolore non è Natale.
L’evangelo ci dice al contrario che il Salvatore è venuto proprio per affrontare il male che ci fa soffrire, è venuto per quelli che sono dispersi come pecore senza pastore, per quelli che sono affaticati e oppressi.
Non si comprende il senso del Natale se non si vede che quanto è accaduto a Betlehem concerne direttamente la vita che riprende in gennaio. Natale è il vero capodanno dei cristiani. Non è certo la notte di san Silvestro, con la sua eccitazione e i suoi auspici scaramantici, a illuminare l’anno che nasce. Se sentiamo il giusto bisogno di finire l’anno e iniziare l’anno nuovo come credenti, rivolgendoci a Dio e invocando il suo aiuto, possiamo farlo, ma dobbiamo allora inevitabilmente ricollegarci al messaggio di Natale. Perché la luce che desideriamo per proseguire il nostro cammino non può che essere la luce che risplende nelle tenebre, la luce che risplende intorno ai pastori, mentre gli angeli intonano il canto che unisce la gloria di Dio e la pace sulla terra. La nascita di Gesù realizza questa unione, l’unione con cui Dio vuole associarsi alla condizione della creatura per portarla alla pienezza della vita, alla pace che è benessere vero, libertà dal bisogno e dalla minaccia, libertà da tutto ciò che consuma e distrugge.
La nascita di Gesù apre una via in cui tutti i nostri limiti sono accettati e sopportati, fino alla morte, per realizzare il sovvertimento della morte. Con la nascita di Gesù Dio spinge fino in fondo la sua solidarietà con la creatura. Porta al culmine l’impegno che aveva contratto con la creazione e con l’umanità. L’alleanza con Noè, l’alleanza con Abramo, l’alleanza con Mosè e con il popolo di Israele, l’alleanza con Davide, trovano qui il loro senso compiuto. Il risultato a cui deve portare questa decisione di Dio ci è solo parzialmente comprensibile, ma già così porta chiarezza nella confusione e fiducia nell’insicurezza. Confusione e insicurezza sembrano sempre di più i tratti distintivi dell’angoscioso periodo che stiamo attraversando, in cui sono possibili le peggiori vie d’uscita, cioè le false vie d’uscita, quelle che non fanno avanzare l’umanità, ma la riportano indietro.
A quale risultato dovrà giungere la via che si apre con la nascita di Gesù? Non è assurdo chiederselo, visto che lo stesso Gesù ci porta in quella direzione con ogni suo atto e ogni sua parola e visto che ne fa oggetto della sua prima dichiarazione pubblica, che enuncia il suo programma: «Il regno di Dio è vicino». Non è insensato chiederselo, se pensiamo alla conclusione della sua vita terrena: la morte, in cui dona sé stesso, e la risurrezione, in cui ci è ridonato vivente per essere sempre con noi. Ma il risultato per noi, per l’umanità, per il creato? L’apostolo Paolo parla di corpi spirituali e di liberazione del creato. Ciò che sappiamo è che il nostro corpo perirà, e morendo si porterà via tutto ciò che siamo. Ma Dio è venuto ad abitare nella sua creazione perché vuole cambiare questo stato di cose, vuole infondere nuova esistenza nella materia che ha creato. Il risultato di questa nuova opera divina è una materia talmente rigenerata da essere liberata dalla morte. Non si tratta tuttavia di un risultato talmente lontano da non interessare la vita che viviamo oggi, perché, se c’è una nuova creazione, la nascita di Gesù ne rappresenta l’inizio. Nella nostra vita il nuovo è già cominciato, e il Natale ci invita a scoprirlo.
Non voglio negare l’effetto fortificante di momenti felici come l’accensione dell’albero e i canti natalizi. Voglio dire che sprechiamo questi momenti se non cogliamo l’occasione per ascoltare con nuova attenzione il messaggio evangelico. Il Natale non è una dolce distrazione passeggera, è una via che si dischiude, per permetterci già ora molte azioni sensate, benefiche, che contrastano la disperazione. L’aurora dall’alto ci ha visitato, per indirizzare i nostri passi sulla via della pace.
Tratto da Riforma del 21 dicembre 2007 |