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IL VANGELO OGGI
 
Canto di Debora

«I capi mancavano in Israele; mancavano, finché non venni io, Debora, finché non venni io, come una madre in Israele»
(Giudici 5, 7)

Debora canta insieme a Barac dopo la battaglia. È un canto di vittoria, quella ottenuta da Jahweh, il Signore, sull’esercito del temuto Sisera. Eppure, nonostante la vittoria, in Israele mancano i capi, delle figure carismatiche capaci di governare con saggezza il popolo nella terra promessa e di condurlo in battaglia contro i Cananei. Morto Giosuè, il grande condottiero, le nuove generazioni si trovano allo sbando. Incontrano le popolazioni locali e si lasciano sedurre dalle loro divinità, abbandonano Dio e rompono quell’alleanza su cui si fonda l’etica d’Israele. Per questo Dio, quando la situazione diventa insostenibile, fa sorgere dei giudici, dei salvatori, delle profetesse in Israele che lo liberino dall’insidia del nemico e lo riconducano a Dio. In Israele manca una classe dirigente, e quei pochi politici che ci sono non sono credibili, sono votati alla corruzione e all’idolatria. Tutto ciò conduce il popolo al decadimento morale e teologico al punto tale che c’è bisogno di un commissario speciale che sbrogli la situazione e rimetta le cose in ordine.

Anche oggi, tutto sommato, mancano i capi. A Cuba Fidel si è dimesso (segno che l’era dei grandi leader è davvero tramontata). Negli Usa, finita l’era Bush, si va in cerca di nuovi «Barac» (Giudici 4, 6) capaci di capeggiare la nazione. In Italia, caduto il Governo, ci ritroviamo ancora una volta in campagna elettorale, a fare i conti con una classe politica che, nonostante i nuovi assetti e le nuove configurazioni, resta poco credibile. A chi dobbiamo affidarci, di chi possiamo fidarci? La mancanza di governanti che prendano veramente a cuore le sorti del proprio paese, di responsabili che, «come una madre», si prendano cura dei problemi delle persone rivela che complessivamente c’è un malessere nella società. C’è un vuoto d’identità, di esistenza, di vocazione, da una parte, e una ricerca di auto-affermazione e di soddisfacimento di bisogni materiali, dall’altro. Così come in Israele si era perso Dio e ci si era abbandonati agli idoli del tempo.

Di fronte alla miseria del suo popolo e alla minaccia del nemico, Debora, questa madre in Israele istruita nella Parola di Dio, si sbraccia e comincia a incitare i suoi, li incoraggia e rivolge loro delle vocazioni. Debora non chiama in causa Dio per salvare Israele dalla rovina, ma fa leva sulla responsabilità del popolo davanti a Dio, sull’integrità di quel patto stipulato in piena libertà, mettendo in luce ciò che, all’interno del popolo, disonorava Dio. Solo così si trovarono dei «volenterosi fra il popolo», capaci di «atti di giustizia in Israele». Il canto di Debora ci scuote e ci chiama all’ascolto ancora oggi; ci invita a vivere responsabilmente il nostro presente nella consapevolezza del grande dono di libertà che Dio ci ha fatto; ci spinge a prenderci cura personalmente della res publica, intesa come bene comune, riscoprendo in questo la vocazione che Dio ci rivolge e che riempie di senso la nostra esistenza.

Tratto da Riforma del 29 febbraio 2008

 
   
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