Pasqua non è soltanto il giorno della resurrezione di Gesù, ma anche della resurrezione della fede in lui. Risuscita la fede di Maria Maddalena: la mattina per tempo, in lacrime, incontra Gesù senza riconoscerlo, se non quando egli la chiama per nome. La fede risuscita non vedendo Gesù ma udendo la sua voce. Risuscita la fede dei discepoli di Emmaus, la sera di Pasqua, quando, «per via» incontrano Gesù senza riconoscerlo, se non quando, nella loro casa, Gesù spezza il pane e lo distribuisce: anche qui la fede resuscita, non vedendo Gesù ma vedendo il gesto rivelatore dello spezzare il pane. Così risuscita la fede di Pietro, quella di Tommaso, quella degli altri discepoli, quella di Saulo da Tarso la cui fede passa attraverso un processo di morte e risurrezione: muore la fede del fariseo Saulo, risuscita quella dell'apostolo Paolo.
Ma ecco il paradosso del cristianesimo, che è questo: il cristianesimo, cioè la fede cristiana, è nata a Pasqua, è fondata su Pasqua, non ci sarebbe se non ci fosse stata Pasqua, ma d'altra parte Pasqua è un fondamento apparentemente fragilissimo e discutibilissimo, perché non può essere né descritta, né dimostrata, né sperimentata. L'intera vita di Gesù, la sua predicazione del Regno, le sue «opere potenti» avevano suscitato molto entusiasmo, ma, tutto sommato, «poca fede». La morte di Gesù l'aveva poi spazzata via del tutto. È solo con la risurrezione di Gesù che anche la fede risuscita. Questa è la specificità, l'originalità e l'unicità del cristianesimo. Certo, la fede cristiana non è solo fede nella resurrezione, è fede nella creazione («Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra»), nella redenzione, nella riconciliazione, nel perdono dei peccati e in tante altre cose citate nel Credo. Tutto però è fondato sulla resurrezione di Gesù. È la risurrezione di Gesù che dà valore alla sua morte, ed è la morte di Gesù che dà valore alla sua vita. Dunque, l'intera impalcatura della fede cristiana regge sul fondamento della risurrezione. E il cristiano non è solo uno che crede nella risurrezione, ma è uno che crede a motivo della risurrezione.
E che cosa vuol dire credere a motivo della risurrezione? Vuol dire che non siamo noi che abbiamo risuscitato Gesù e lo teniamo in vita con i nostri racconti, i nostri canti, il nostro ricordo, la ripetizione dei suoi gesti, la fedele trasmissione delle sue parole, ma al contrario è Gesù che ha risuscitato noi e mantiene in vita la nostra fede con i suoi gesti, le sue parole, il suo spirito. Gesù vive non perché noi crediamo, ma noi crediamo perché Gesù vive. Ecco allora il significato di Pasqua: Gesù vive! Come dice molto bene il Vangelo di Giovanni: «Io vivo, e voi vivrete» (Giovanni 14, 19). Non vive perché viviamo noi, ma viviamo perché vive lui. Gesù vive, perciò rivive la fede in lui, non come fede in un sogno futuro o come ricordo di un'esperienza passata, ma come incontro con una presenza. Questa presenza reca i segni dei chiodi e la ferita nel costato, cioè i segni della sua storicità (l'evangelo non è altro che «la storia di Gesù di Nazareth», Atti degli apostoli 10, 38), ma al tempo stesso può «ascendere in cielo», cioè appartiene al mondo di Dio, lo può abitare.
Tratto da: Paolo Ricca, Grazia senza confini, Claudiana, Torino, 2006, 187-189. |