1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita. 2 E cominciò a parlare così: 3 «Perisca il giorno che io nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un maschio!" 4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Dio dall'alto, né splenda su di esso la luce! 5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti su di esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!
11 Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo? 12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare? 13 Ora giacerei tranquillo, dormirei, e avrei così riposo 14 con i re e con i consiglieri della terra che si costruirono mausolei, 15 con i prìncipi che possedevano oro e che riempirono d'argento le loro case; 16 oppure, come l'aborto nascosto, non esisterei, sarei come i feti che non videro la luce. 17 Là cessano gli empi di tormentare gli altri. Là riposano gli stanchi, 18 là i prigionieri hanno pace tutti insieme, senza udir voce d'aguzzino. 19 Piccoli e grandi sono là insieme, lo schiavo è libero dal suo padrone. 20 Perché dare la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza? 21 Essi aspettano la morte che non viene, la ricercano più che i tesori nascosti. 22 Si rallegrerebbero fino a giubilarne, esulterebbero se trovassero una tomba. 23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio? 24 Io sospiro anche quando prendo il mio cibo, e i miei gemiti si spargono come acqua. 25 Non appena temo un male, esso mi colpisce; e quel che mi spaventa, mi piomba addosso. 26 Non trovo riposo, né tranquillità, né pace, il tormento è continuo!»
(Giobbe 3/1-5; 11-26)
Solitamente ci mettiamo di fronte alla Parola di Dio per cercare di essere rassicurati, nella speranza insomma di trovare una parola di accoglienza, di perdono, di guarigione sulle nostre vite ferite, violentate, insicure. Il testo di oggi non sembra contenere affatto la buona notizia che invece l’Evangelo sempre contiene. Qui è narrata con linguaggio insuperabile la disperazione profonda di un uomo, il suo senso di solitudine e di dolore assoluto.
Ma perché dobbiamo essere sempre rassicurati? Non sarà forse perché magari una sola volta nella vita abbiamo anche noi, tu ed io, maledetto la vita? o conosciuto e amato una persona che ha legittimamente maledetto la vita? oppure non sarà forse perché tu ed io abbiamo paura semplicemente che quel giorno possa venire per noi, senza preavviso, senza permesso, come è successo a qualcuno che conosciamo? Non hai forse anche tu, come me, paura che un giorno ti possa essere tutto, brutalmente, compreso il senso stesso della vita, pur nella riconoscenza per tutto ciò che hai ricevuto? Anche Giobbe aveva ricevuto molto.
Ogni tanto ti chiedi con paura se esiste qualcosa che può svuotare di significato la tua esistenza. Ebbene, Giobbe ci risponde di sì. Ci dice che non è vietato sognare la morte quando la vita diventa troppo faticosa, insopportabile; e Giobbe sogna la morte, e non una sorta di aldilà dorato, ma proprio la fine di ogni cosa: la morte come un paradiso che si sostituisce all’inferno della vita. Giobbe osa porre la domanda che spesso noi non osiamo porci: "Perché? Perché la nascita? Perché la vita? Perché la sofferenza? Perché Dio permette tutto questo?" La Bibbia, attraverso Giobbe, ci dice che è legittimo il desiderio di morire; anche e proprio davanti a Dio è possibile urlare e chiede la morte. La vita non è difendibile o auspicabile e amabile in tutti i contesti e in tutte le condizioni.
Nella protesta di Giobbe non c’è solo il grido contro la sofferenza che sfigura l’uomo, non c’è solo il grido per la sofferenza dell’innocente - perché Giobbe si ritiene tale - ma c’è l’accusa a Dio, la requisitoria implacabile contro un Dio che permette la sofferenza di chi non ha colpa. Se Giobbe è innocente e Dio è onnipotente e giusto, perché Giobbe conosce la sventura assoluta? Le risposte si faranno attendere, se mai verranno. Intanto Giobbe, nel maledire il giorno della propria nascita, attacca, in qualche modo maledice, Colui che ha reso possibile la sua nascita: Dio.
E proprio facendo una cosa così terribile, ci dà un’indicazione preziosa: nella protesta, nel grido che può suonare blasfemo, Giobbe rimane pur sempre collegato a Dio. Nell’esperienza dell’assenza di Dio, del dolore che chiede la morte come fine dell’esistenza, Giobbe rimane con Dio; forse rimane contro Dio, ma non senza Dio. Il testo disperato di oggi: è questa la buona notizia dell’Evangelo. Anche quando si tocca il fondo del dolore e dell’assenza di Dio si può rimanere con Dio, pur essendo in rivolta contro di lui.
Che cosa collega ancora Giobbe a Dio? Il suo grido disperato. È poco ma è sufficiente. Giobbe non si uccide, non perché crede nella sacralità della vita o per paura di Dio, ma perché riesce a dare parole al suo dolore infinito. Ci si toglie la vita invece quando non si parla e non si urla più, nemmeno a Dio, nemmeno contro Dio.
Ecco il vero problema che ho sperimentato nell’accompagnare chi è stato messo al muro dal dolore inumano. Non la sofferenza che non ha risposta, ma la difficoltà talvolta insormontabile a parlare ancora con Dio o forse contro Dio nella sofferenza.
Fratello e sorella all’ascolto, fai bene ad aver bisogno, come ne ho bisogno anch’io, di parole che ti rassicurino, che ti sostengano, che ti aprano alla speranza. Ma Giobbe oggi ci insegna una cosa forse ancora più importante delle tante parole di speranza e di redenzione che la Bibbia contiene. Ci insegna che anche l’estremo dolore può portarci attraverso il disorientamento e la perdita di senso alla consapevolezza che Dio abita ogni ambito, ogni dimensione della nostra vita, che ovunque e in qualunque circostanza, anche la più buia, è possibile gridare a lui, anche contro di lui. Anche lì, pur nella rivolta e nel grido, è possibile rimanergli paradossalmente legati, come gli è rimasto Giobbe, come gli è rimasto legato Gesù. Anche Gesù ha gridato il suo abbandono a Dio, e facendo questo lo ha affermato come Padre.
Ti dia il Signore, amico e amica, dia il Signore ad ognuno di noi nel giorno in cui il dolore cupo dovesse abitare i nostri giorni di saperci unire a quel grido, che ci dice che non siamo mai soli!
Tratto dalla trasmissione Culto Radio del 5 ottobre 2008, curata dal Servizio Stampa Radio e Televisione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, in onda la domenica mattina alle ore 7.30 su RadioRai1.
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