1 Allora Giobbe rispose e disse: 2 «Fino a quando mi affliggerete e mi tormenterete con i vostri discorsi? 3 Sono già dieci volte che m'insultate e non vi vergognate di malmenarmi. 4 Ammesso pure che io abbia sbagliato, il mio errore concerne me solo. 5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo, 6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nella sua rete è Dio.
20 Le mie ossa stanno attaccate alla mia pelle e alla mia carne, non m'è rimasta che la pelle dei denti. 21 Pietà, pietà di me, voi, amici miei, poiché la mano di Dio mi ha colpito. 22 Perché perseguitarmi come fa Dio? Perché non siete mai sazi della mia carne?
25 Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. 26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio. 27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli d'un altro; il cuore, dal desiderio, mi si consuma!
(Giobbe 19/1-6; 20-22; 25-27)
Sono purtroppo costretto a trascurare del tutto i dialoghi fra Giobbe ed i suoi amici, dialoghi che costituiscono buona parte di questo libro così denso e in qualche modo così inquietante. I tre amici di Giobbe cercano di dare una spiegazione al dolore infinito di Giobbe, cercano di convincerlo che dietro ad ogni situazione di felicità o di sventura vi è una possibile spiegazione e che questa è sempre collegata a Dio. Se Dio è buono ed è al tempo stesso onnipotente, allora Giobbe deve avere da qualche parte sbagliato, deve avere, come si dice con un termine spesso abusato, peccato. Gli amici hanno la presunzione di fare della teologia, di difendere Dio ed anche, e forse questa è la loro peggiore intenzione, di consolare Giobbe, investendolo invece con un mare di parole che raggiungono l’unico scopo di aumentare la sua sofferenza. Perché in molte circostanze, dobbiamo riconoscerlo, anche se ci costa molto, siamo semplicemente immersi nell’ingiustificabile, e le parole suonano falsamente consolatrici, le spiegazioni sono discutibili, non fanno altro che farci affondare ancora di più nell’enigma del male.
Giobbe ci invita a rifiutare l’idea di una sofferenza purificatrice e a riconoscere che le giustificazioni a buon mercato, che sovente ascoltiamo anche oggi dai consolatori di professione, rendono ancora più evidente lo scandalo del male che vorrebbero invece riuscire ad illuminare.
C’è però qualcosa di più nel grido di Giobbe, qualcosa che improvvisamente ci sorprende, ci disorienta e al tempo stesso ci evangelizza. Nel bel mezzo del dramma assoluto - siamo al centro del libro di Giobbe - Giobbe grida la sua fede, chiara, cristallina, magnifica, apparentemente assurda. Dice: "Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, io vedrò Dio". Una confessione di fede straordinaria, senza ombre, senza condizioni e senza condizionali. L’ultima parola che un essere umano può pronunziare davanti al male, alla miseria, all’ingiustizia: "Ma io so che il mio Redentore vive"!
Giobbe, sommerso dalle parole vane dei suoi amici, non vede ancora alcun segnale di presenza da parte di Dio, non c’è nessuna luce (nota bene!) nella sua notte per il momento, nessuna risposta alle sue urla, nessuna consolazione al suo dolore. Eppure, malgrado il buio più totale, malgrado il dolore più violento, Giobbe irrompe in una confessione di fede che risuona in tutta la sua purezza, in tutta la sua paradossalità. Giobbe afferma la sua assoluta fede in Dio, proprio nel momento in cui ne avverte in modo dolorosissimo l’assenza. "Io credo!"
Fratello e sorella all’ascolto, con cui condivido quest’avventura faticosa e splendida che è l’esistenza umana, io credo che quest’affermazione di fede nella presenza di Dio, proprio nell’esperienza della sua assenza e del suo abbandono, stia al cuore della fede ebraica e cristiana. Tu forse oggi questa parola puoi soltanto ascoltarla, lasciarla abitare dentro di te. Anch’io non posso fare di più, non posso farla mia oggi, a tavolino, con facilità. Questa parola altissima di fede io oggi posso, e tu puoi, soltanto riceverla, sapendo però che questa confessione di fede non dopo l’intervento di Dio, ma prima e a prescindere da qualsiasi intervento di Dio è risuonata in modo chiaro, inequivocabile, tante volte già nel corso della storia.
Un solo esempio, molto conosciuto, in uno dei più bei libri del secolo scorso, Il diario di Etty Hillesum, una giovane ebrea olandese che negli anni della shoah, dello sterminio degli ebrei, segue volontariamente il destino dei suoi familiari e del suo popolo verso Auschwitz. In quel libro vi sono dei momenti di confessione di fede nel pieno della tragedia e dell’apparente assenza di Dio. Una domenica mattina in preghiera Etty dice al Signore: "Una cosa diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi ma che siamo noi a dovere aiutare te. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, l’unica cosa che veramente conti è un piccolo pezzo di te in noi stessi. Mio Dio, quasi ad ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Sì, mio Dio, ti sono molto fedele in ogni circostanza, non andrò a fondo e continuo a credere nel senso profondo di questa vita. So come devo continuare a vivere. Ci sono in me delle certezze così grandi. Ti sembrerà incomprensibile, ma trovo la vita che qui è così bella".
"Il mio Redentore vive" - ci dice oggi Giobbe. E noi sappiamo, e ci dia il Signore di poterlo confessare, che il nostro Redentore, Gesù Cristo, vive. Quel Redentore che si è fatto carico di tutto il dolore, di tutta l’assurdità, di tutta la miseria. Per noi, che viviamo dopo Pasqua, è possibile ancora con maggiore fiducia affermare che il nostro Redentore vive.
Ci dia il Signore di esserne consapevoli nella buona e nella cattiva sorte e di esserne testimoni!
Tratto dalla trasmissione Culto Radio del 15 ottobre 2008, curata dal Servizio Stampa Radio e Televisione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, in onda la domenica mattina alle ore 7.30 su RadioRai1.
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