1 Il SIGNORE continuò a rispondere a Giobbe e disse: 2 «Il censore dell'Onnipotente vuole ancora contendere con lui? Colui che censura Dio ha una risposta a tutto questo?» 3 Allora Giobbe rispose al SIGNORE e disse: 4 «Ecco, io sono troppo meschino; che ti potrei rispondere? Io mi metto la mano sulla bocca. 5 Ho parlato una volta, ma non riprenderò la parola, due volte, ma non lo farò più».
42/1 Allora Giobbe rispose al SIGNORE e disse: 2 «Io riconosco che tu puoi tutto e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno. 3 Chi è colui che senza intelligenza offusca il tuo disegno? Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco. 4 Ti prego, ascoltami, e io parlerò; ti farò delle domande e tu insegnami! 5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio ti ha visto. 6 Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere».
(Giobbe 40/1-5; 42/1-6)
Dio ha risposto a Giobbe, come abbiamo visto. In modo bizzarro, con una sorta di viaggio nella creazione, soffermandosi davanti agli animali la cui forza e il cui coraggio ci lasciano senza parole. Eppure Giobbe è soddisfatto e la sua ultima replica adesso è del tutto umile: "Mi metto la mano sulla bocca, Signore; io riconosco che tu puoi tutto". Senza avere ricevuto risposte precise alle sue domande terribili, Giobbe adesso riconosce comunque Dio nella sua vita, e tace. Non perché sia sbalordito da ciò che Dio gli ha fatto vedere, ma perché sa che Dio gli è ancora accanto, che non lo ha abbandonato.
Il libro non contiene dunque risposte sulla sofferenza, sul male. Dio ha solo comunicato a Giobbe che il mondo in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili, che la dimensione del male e dl disordine è governata, sono governati, sono vinti da Dio, ma non sono del tutto estirpati da questa vita e da questo mondo. La vita, anche se a tratti difficile e pesante, è il frutto della grazia di Dio.
Le parole di Giobbe di oggi, le ultime che Giobbe pronunzia, sono il risultato della faticosa ricerca di Giobbe e della sua risposta a Dio. E lo straordinario di questa risposta sta nel fatto che queste parole di Giobbe vengono prima che Dio restituisca a Giobbe ciò che gli è stato tolto. Mentre sta ancora seduto nella cenere, appena Dio risponde Giobbe ritrova la pace, comprende ed accoglie la dimensione della grazia. Non il frutto della rassegnazione, ma della fiducia.
Dio ama questa creazione così com’è, simile al grano mescolato alla zizzania, che non può essere svelta, estirpata senza danneggiare anche il grano. Giobbe è vinto dall’amore di Dio che non fa andare il mondo alla rovescia, come a volte vorremmo, ma che trasforma il cuore. Così adesso Giobbe è libero dalle sue paure e dal suo senso di persecuzione. Scopre che Dio, qualunque cosa possa capitargli, lo ama e gli sta accanto. Adesso Giobbe rivede Dio attorno a sé. E questo accade - lo ripeto - mentre Giobbe è ancora assediato dal dolore e dalla tragedia.
"Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l’occhio mio ti ha visto". Visto, che cosa? Nulla, oggettivamente. Giobbe non ha ancora visto nulla di ciò che gli sarà restituito, eppure tutto già cambia.
Ecco cos’è la conversione: consentire a Dio di cambiare il nostro sguardo su ciò che ci circonda, su noi stessi, sugli altri, su Dio. Dio non è l’illusione che nutre le tue paure e i tuoi desideri, ma non è neppure l’aguzzino indifferente o maligno che assiste ai tuoi drammi personali e a quelli del mondo. Dio è con te, Giobbe; è con te, sorella e fratello all’ascolto.
Concludo. Dopo la confessione di Giobbe, prima che Dio lo ristabilisca, segue un momento di silenzio, un silenzio abitato dalla fede adesso, dalla pace ritrovata. Giobbe, come ultimo messaggio, mi dice e ti dice questo: dopo avere discusso e protestato con Dio - e questo abbiamo visto è legittimo e salutare - alla fine nel consentimento è possibile ritrovare la pace, è possibile ritornare a sentire la voce di Dio che prima non riuscivi più ad identificare, a rintracciare. Resistenza: sì, la resistenza va fatta anche con Dio, anche contro Dio. E poi resa: non nel senso della rassegnazione ad un fato più forte di noi, ma nel senso dell’affidamento ad un amore più grande. Come se Giobbe dicesse: "So di essere fragile, Dio mio, la vita è fragile; ma adesso ti ho visto, ti ho visto a me favorevole non contrario e mi affido a te. Adesso io abbasso la voce, fino a lasciare spazio al silenzio; accetto il fatto che conoscerò il senso del percorso della mia vita solo dopo che l’avrò compiuto in modo pieno. Ho gridato a te, Dio mio, perché ho cercato il senso della giustizia e ho combattuto l’ingiustizia e l’oltraggio del male; ho combattuto la malattia, l’incomprensione, la morte; ho vissuto frammenti di amore che mi hanno fatto vivere e lutti che mi hanno mutilato. Adesso ho compreso anche il senso del mio orgoglio e lascio a te, completamente, il timone della mia vita per ciò che sarà, per ciò che tu vorrai che sia, a ciò che è stato, a ciò che è, a ciò che verrà. Sì, e amen, Dio mio".
Tratto dalla trasmissione Culto Radio del 29 ottobre 2008, curata dal Servizio Stampa Radio e Televisione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, in onda la domenica mattina alle ore 7.30 su RadioRai1.
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