La forza dirompente della speranza che costituisce il principale capo d’accusa nei confronti del prigioniero (innocente) Paolo si fonda sulla risurrezione dei morti. Qualcosa che non vediamo ma crediamo. Speranza è vedere oltre la realtà di morte che ci circonda. E qui si gioca anche il destino del protestantesimo che non sta nel cavalcare o scavalcare la realtà ma sognarne e costruirne un altra.
Quarantacinque anni fa, in piena guerra fredda, davanti a quel muro che divideva non solo la Germania ma l’Europa, parlare della speranza cristiana, come fece Jürgen Moltmann, fu un atto di coraggio teologico, un vedere oltre la «Cortina di ferro». Vent’anni fa quel muro che divideva l’Europa è stato abbattuto. Non è crollato da sé, ci sono voluti anni di duro lavoro e duecento morti per arrivare ad abbatterlo. Anni di impegno politico ma anche di preghiera. Ma alla fine è stato abbattuto grazie anche alla speranza e perseveranza dei cristiani. La nostra speranza non è fondata solo sul futuro ma anche su ciò che è avvenuto nel passato, a cominciare dalla stessa risurrezione di Cristo. Il crollo di quel muro, anche se nel frattempo tanti altri muri sono stati eretti, dimostra che, storicamente parlando, alcune speranze si sono concretamente realizzate. Ci sono preghiere, nella nostra vita personale e collettiva, che sono state esaudite. Possiamo sperare contro speranza anche perché, a volte, le speranze si concretizzano.
La risurrezione di Cristo rappresenta l’impossibile che diventa possibile. E seguendo Colui che ha reso vero ciò che era solo visione diventiamo anche noi protagonisti di cambiamenti. La speranza è che un cambiamento ritenuto impossibile diventi possibile. Sperare vuol dire agire perché la speranza diventi realtà.
Noi oggi speriamo che norme ingiuste di questo nostro Paese che considerano la condizione esistenziale di clandestino come reato possano, anzi debbano essere cambiate. Noi speriamo e agiamo perché al primo posto non ci sia la sicurezza blindata ma la dignità di ogni persona a qualunque condizione appartenga. Noi speriamo che la disoccupazione possa essere contrastata e almeno parzialmente sconfitta. La coraggiosa e faticosa battaglia degli operai della Immse di Milano dimostra che la perseveranza unita alla speranza produce frutti inattesi. Non c’è fede senza speranza, una non può vivere senza l’altra. Ma a tenerle insieme occorre un terzo elemento: la perseveranza. Molte speranze che noi abbiamo visto concretamente realizzarsi sono infatti legate alla tenacia della lotta, alla fermezza nell’avere tenuto saldamente tra le mani il timone sulla rotta determinata. Solo così quell’andare avanti verso il futuro diventa trasformazione del presente. Saldamente con i piedi per terra guardiamo a quel punto, oltre l’orizzonte, che alimenta la nostra speranza.
Tratto da Riforma del 21 agosto 2009 |