«LIBERE PREDICARE»
di Giorgio Bouchard
In una fredda serata del febbraio 1848, una piccola folla si accalcava davanti a un palazzo nobiliare di Torino: nella folla c’era un intraprendente pastore valdese (Amedeo Bert) e un reduce della battaglia di Waterloo, il colonnello Charles Beckwith. Dentro il palazzo c’era Roberto d’Azeglio, fratello di Massimo: la folla applaudiva, ma Roberto non si affacciava: si era limitato a fare accendere le luci dello scalone.
Che cosa stava dietro a questa scena di straordinaria dignità? Per i valdesi, sei secoli e mezzo di persecuzioni: per il Piemonte e per l’Italia, quattro secoli di asservimento civile, politico e religioso. Ma ora, questa «serva Italia» cominciava a respirare. Cavour puntava su un’Italia liberale e religiosamente «neutra», come gli aveva insegnato il pastore Alexandre Vinet. A fianco di Cavour stavano i fratelli d’Azeglio e proprio Roberto era riuscito a convincere Carlo Alberto a firmare (il 17 febbraio) quelle «Patenti Albertine» che riconoscevano ai valdesi i diritti civili: una vittoria dello spirito del Risorgimento.
Certo, la strada verso l’unità d’Italia era lunga, ma più lunga era la strada verso la libertà religiosa. Cominciarono i valdesi, affrontando processi e prigioni per poter aprire chiese e scuole in tutto il Regno. Subito dopo arrivarono gli altri evangelici: giobertiani, garibaldini e mazziniani diedero vita alle Chiese Libere; umili credenti cominciarono a radunarsi nelle Assemblee dei Fratelli; poi arrivarono le grandi chiese del Risveglio evangelico (metodisti e battisti) seguiti più tardi dai figli del secondo Risveglio, avventisti e pentecostali. Erano poche decine di migliaia, ma seppero portare alle masse degli oppressi una Parola liberante: la Bibbia.
A questi movimenti evangelici lo Stato liberale concesse un’ampia libertà di fatto, anche se restava in vigore lo Statuto Albertino che incoraggiava il conformismo religioso. Con il regime fascista questo conformismo ricominciò a pervadere tutta la società: i Patti Lateranensi (1929) ribadivano il cattolicesimo quale «religione dello Stato», e le chiese evangeliche venivano emarginate o perseguitate (i Pentecostali). Non c’è quindi da stupirsi se migliaia di evangelici hanno scelto di militare nella Resistenza. Ma proprio dalla Resistenza è nato il più bel gioiello della Repubblica: la Costituzione. Per garantire la libertà delle confessioni di minoranza, l’articolo 8 prevedeva la stipula di Intese garantite per legge. Cominciava una nuova battaglia: per arrivare a un’Intesa i valdesi (con i metodisti) ci misero 36 anni, avventisti e pentecostali 40, gli ebrei 41, battisti e luterani 44.
Una cosa fu però ben chiara fin dal 1948: noi non combattevamo per la nostra libertà ma per un’Italia democratica e pluralista. Oggigiorno vivono in Italia 4 milioni di immigrati: ortodossi, musulmani, induisti, buddisti e altri. Senza saperlo, stipulando le Intese, abbiamo lavorato anche per loro, per la loro dignità, per la loro libertà; e anche oggi ci battiamo perché sia approvata quella «legge sulla libertà religiosa» che darebbe loro, finalmente, la piena libertà di espressione. Ma anche tra gli italiani di nascita ci sono delle «novità»: 400.000 testimoni di Geova professano una fede (e un’etica) rigorosa. Ci sono poi coloro che non hanno una fede religiosa: vogliamo evangelizzarli ma non vogliamo che i loro figli siano sottilmente discriminati.
Oggi, in Italia, vivono circa 500.000 evangelici (africani e coreani compresi). Non siamo più la tenue diaspora dell’epoca fascista: siamo una componente significativa, e non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità. L’anno prossimo celebreremo i 150 anni dell’Unità d’Italia: che Italia sarà? Vorremmo che fosse un’Italia libera e giusta. A questa Italia noi chiederemo ciò che i valdesi chiedevano 830 anni fa: «libere predicare», e così contribuire alla rinascita morale e civile della nostra Patria.
(Tratto da Riforma del 12 febbraio 2010) |