In Italia – e devo dire solo in Italia - si usa contrapporre i laici ai cristiani o ai cattolici: sembra quasi che da una parte vi siano laici privi di fede e mangia preti e dall’altra i credenti che, con ogni evidenza, non possono essere laici se non negando o relativizzando la loro convinzione religiosa.
Sono credente, sono pastora evangelica e quindi "mi occupo", diciamo così, di Dio per professione, e mi sento e sono profondamente laica.
Penso infatti che la società italiana viva e si arricchisca del contributo di pensiero e di vita di ogni sua componente e dell’intreccio di questi contributi a confronto ma c’è un confine delicato e sottile che deve essere salvaguardato, che è quello della libertà reale di ciascuno e di tutti. Questo confine chiamerei laicità.
E’ uno spazio rispettoso, la laicità, un modo di affrontare i problemi, un metodo. Chi è laico vuole poter discutere di ogni cosa e ritenere il bene, vuole poter comprendere il senso dei comportamenti del suo prossimo e rispettarlo, ed essere rispettato. Vuole, al limite, essere convinto, ma resta salva la libertà, che vuol dire che il pensiero ed il credo che mi appartiene non lo impongo a nessuno, non entra nelle leggi dello Stato, anche se nel confronto delle idee concorre ad ispirarle.
Laicità è quindi distinzione tra la sfera della coscienza individuale, quella in cui ciascuno di noi è libero e sovrano, da una parte; e dall’altra quella delle decisioni politiche che invece, riguardando tutti, devono avere un carattere inclusivo e rispettoso delle diverse visioni del mondo.
Laicità non vuol dire negare la fede ma distinguere tra la libera confessione di fede di ogni individuo o delle comunità religiose da una parte e i processi di decisione politica dall’altra. Distinguere non significa contrapporre: come cristiana ho una visione del mondo, dei rapporti sociali, delle relazioni tra gli stati che intendo testimoniare liberamente anche nelle sedi pubbliche e quindi anche in quelle politiche. E come me anche tanti altri, cristiani come me ma di diversa tradizione; credenti di altre fedi, non credenti. Nello stato laico ognuno deve essere libero di esprimere la propria posizione, in una sorta di par condicio che il nostro Paese non conosce ancore.
Al tempo stesso, come cristiana, so che la mia testimonianza deve essere libera da qualsiasi potere e condizionamento politico; la forza della mia azione di cristiana non viene dalla forza del potere, delle istituzioni o delle leggi. Come testimone di Cristo io sarò credibile – o non lo sarò – per quello che riuscirò a dire ed a fare. Date a Cesare quel che è di Cesare significa proprio questo: riconoscere alla politica il ruolo che le è proprio – la ricerca del bene comune e dell’interesse generale. Significa anche stare alla larga dai privilegi e dai condizionamenti che Cesare può esercitare sulla vita della Chiesa.
Insomma la laicità è anche una garanzia di libertà e garanzia per un vero pluralismo. Per questo continuerò a definirmi convintamene cristiana e fermamente laica.
Ma quella della laicità è una palestra continua, e se smetti di esercitarti, se allenti la vigilanza interiore, quel confine delicato e sottile si lacera, e allora ti viene da pensare che quello che tu credi giusto e vero debba diventare anche il modo di vivere e di pensare di tutti gli altri, e diventi interista, arrogante, impositivo in nome della verità (la tua).
11 febbraio 2009
|