L’anno liturgico cristiano prevede che le 4 domeniche che precedono Natale, cioè il tempo detto d’Avvento, siano dedicate a riflettere sui tempi e sui credenti che hanno preceduto la nascita di Gesù, il Cristo: Abramo, i profeti, Anna e Zaccaria. L’evangelista Matteo pone all’inizio del suo racconto una genealogia di Gesù; come tutte quelle del mondo antico è naturalmente al maschile, iniziando da Abramo, il padre dei credenti. Fatto sorprendente però sono menzionate anche quattro donne, le antenate del Cristo, e fatto ancor più sorprendente si tratta di donne credenti sì, ma del tutto fuori regola.La quarta è, intenzionalmente, senza nome.
In realtà un nome lo aveva: Bat-Sceba, ma nel dare la sua genealogia l’evangelista Matteo non ritiene dovere (o potere?) farne menzione. Mentre, come si è visto, le altre tre mogli dei patriarchi antenati di Gesù, cioè del Messia, sono ricordate con il loro nome, perché hanno una storia, una vicenda, e di conseguenza una identità questa non sembra esistere. Di lei il racconto biblico (II Samuele 11-12) dice solo che era bellissima, troppo poco per delineare una figura, una personalità ma quel tanto che basta a innescare una storia.
Intorno alla casa di questa donna infatti si incrociano passioni, sentimenti, opzioni di due figure maschili di eccezionale statura, Uria, il marito, Davide, il re. Lo sfondo della vicenda è la guerra con gli Ammoniti, Uria, ufficiale dell’esercito israelita è al fronte, il re, comandante in capo, sta ad oziare nei suoi palazzi, vede la donna dal terrazzo, la convoca a palazzo e del seguito è superfluo disquisire.
Quando Bat-Sceba informa il re della sua gravidanza questi perde la testa; come prima soluzione ricorre ai mezzucci tradizionali: nascondere, confondere; colmando di doni Uria gli concede una lunga licenza ma l’ufficiale non entra in casa, resta nei cortili con i servi: i suoi uomini al fronte sono accampati a dormire nei campi ed egli dovrebbe godere dell’agio della casa delle premure della moglie, del riposo ? Fallito il piano soft prevale il carattere decisionista di Davide: Uria torna al fronte ed è mandato in prima linea dove lo coglie la morte.
Su questa rovina di esistenze fallite: una donna violentata, un ufficiale assassinato, un sovrano privo di dignità, si erge la figura del profeta Nathan che denuncia la vergogna della vicenda e lancia la maledizione sul re: il bimbo dopo sette giorni di malattia muore (tutto il racconto costruito in modo perfetto: il numero sette, l’agonia, il sovrano chiuso nel mutismo totale che rifiuta ogni parola e cibo e la morte). Anche in questo caso lei non esiste!
La dimensione tragica, agli occhi del narrare biblico, trascende naturalmente e di molto l’aspetto sessuale del fatto, la violenza sulla donna. Il protagonista non si dimentichi è Davide, la figura insieme a Mosè e Abramo che riassume la rivelazione in Israele; la convocazione di una donna alla reggia è prassi normale per un sovrano orientale ma Davide non è un sovrano orientale, è l’unto del Signore, Bat-Sheba, a differenza delle tre precedenti, è israelita, figlia di Abramo, imponendo il suo piacere personale il re viola il patto di Dio, fa del popolo santo un popolo senza legge, retto dalla legge del potere, e così facendo lo annienta.
Per contrasto l’autore biblico (grande narratore!) delinea il ritratto del generale: Uria l’hittita, non figlio di Israele, pagano, tutto d’un pezzo, dedito alla causa per cui ora milita (scelta sua? Imposta?), vede la casa e la moglie dalla soglia, perché è mentalmente al fronte e là muore.
Rimasta a palazzo é passata al rango di moglie Bat-Sceba darà a Davide un figlio e a Israele il suo più celebre sovrano: Salomone, esempio di sapienza, di governo equilibrato e giusto: un fiore sbocciato da quel letamaio.
Tutto questo Matteo lo sa molto bene e per questo scrive: "Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria". Anche lei, senza nome, è l’antenata di Gesù Cristo. Senza nome appunto perché la sua vicenda è come un buco nero che inghiotte nell’onta l’esistenza degli uomini, anche dei più grandi, il buco nero del peccato dove a morire è un uomo libero come Uria ed un bimbo innocente, figlio anche lui senza nome, che avrebbe potuto essere antenato di Cristo ma per la colpa del potere è sparito nel nulla.
Matteo sa tutto questo ma lo rilegge alla luce della settimana in cui il maestro Gesù di Nazaret è morto. Assassinato come Uria da un potere deviante, nella città santa, quella di Davide, innocente come il bimbo senza nome della donna innominata, come tutti loro vittima del peccato umano, vittima in assoluto e per questo l’unto, il Cristo in assoluto. 19 dicembre 2009
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