L’intervento della pastora Maria Bonafede dopo la rielezione a Moderatore della Tavola
DIO CI INTERPELLA: TU DOVE SEI NEL MONDO ?
Prendendo le mosse da un testo del 1947 di M. Buber Maria Bonafede, rieletta con un forte consenso sinodale per il terzo anno, riflette sui nostri compiti esprimendo riconoscenza a Dio
Cara Presidente, cari fratelli e sorelle nel Signore, voglio iniziare il breve discorso di saluto al Sinodo con una citazione da un piccolo libro di Martin Buber dal titolo Il cammino dell’uomo (ed. Qiqajon, Comunità di Bose) che è una sua conferenza del 1947. Inizia con un racconto di cui leggerò solo alcune righe:
«Rabbi Shneur Zalman, il Rav della Russia, era stato calunniato presso le autorità da uno dei capi dei mitnagghedim (avversari) (…) ed era stato incarcerato a Pietroburgo. Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella sua cella. (…) Si mise a conversare con lui e non esitò ad affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la Scrittura. Alla fine chiese: "Come bisogna interpretare che Dio Onnisciente dica ad Adamo: ‘Dove sei?’".
"Credete voi – rispose il Rav – che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?". "Sì, lo credo", disse. "Ebbene – riprese lo Zaddik – in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: ‘Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già passati molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?’. Dio dice per esempio: ‘Ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi?’". All’udire il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento, posò la mano sulla spalla del Rav ed esclamò: "Bravo!"; ma il cuore gli tremava».
Mi chiedo se non sia questo il compito della predicazione, della cultura, della diaconia della chiesa. Far giungere la Parola di Dio, la domanda di Dio che fa tremare il cuore a ogni uomo, a ogni donna, a ogni persona con cui in vari modi e non solo nei ruoli ufficiali, entriamo in contatto. E il cuore trema nel momento in cui riceviamo domande vere, parole vere che ci fanno pensare, che mettono in movimento la nostra coscienza, che ci consentono di fare un cambiamento, di capire una cosa nuova. Il cuore trema se la predicazione sa parlare a te e suscita in te la domanda fondamentale della tua vita, il cuore trema se l’annuncio del Vangelo di Dio suscita il pentimento e la domanda profonda e sofferta del suo perdono, trema se libera te dalle tue catene e ti consente di dedicare la tua vita a spezzare le catene di chi è incatenato, che si tratti di uomini e donne incatenati nella miseria del loro peccato, o nella prigione della loro malattia e infermità, o nella malattia che offusca la mente e stravolge, o nella discriminazione e nell’isolamento in cui è possibile essere spinti a causa della propria diversità.
Semplicità delle azioni
Abbiamo incontrato, in un pomeriggio di questo Sinodo, nel giardino che circonda la Casa valdese, silenziosi, alcuni ospiti dell’Uliveto accompagnati sulla carrozzella dagli operatori della Casa: una diversità visibile, una disabilità del corpo e della mente immediatamente percepibili. La diaconia, la predicazione, la cultura consistono nella semplicità delle azioni, delle parole e della relazione, nel creare uno spazio di amore e di libertà in cui chi è assistito e chi assiste dà e riceve amore e gioia e condivisione in molti modi, altri dalla comunicazione cui siamo avvezzi. E non si può fare quel lavoro senza amore, senza porsi domande, senza costantemente aggiornare le risposte.
Ma la diversità che va liberata e cui l’Evangelo continua a cambiare i confini e le regole è anche la diversità della fede, della cultura e delle identità. Siamo e siamo stati abituati per secoli a essere considerati diversi e quindi guardati ora con sospetto, ora con sufficienza, ora con simpatia. Abbiamo portato la nostra diversità culturale e religiosa con riconoscenza e con fierezza, ma qualche volta anche con fatica, quando ci si è sentiti toccati nelle proprie convinzioni profonde, nei propri figli.
In che modo oggi ci aiuta questa coscienza di sapere, essere stati costretti a sapere, essere stati graziati nel sapere che i diversi siamo noi? In che modo ci aiuta a incontrare senza paternalismi e senza paura le alterità e le diversità che si affacciano nelle nostre chiese e desiderano ricevere e vivere l’Evangelo insieme a noi? Io credo che ci aiuti e ci possa aiutare molto la predicazione dell’Evangelo che sposta i confini, che rompe le categorie di pensiero nelle quali collochiamo le persone. Aiuta molto ed è per questo che tante persone ci vengono a cercare e alcune si fermano con noi. Desidero qui nominare un’altra alterità, e affermare che è per questo che persone omosessuali, che non trovano accoglienza e fraternità altrove, cercano le nostre chiese e trovano la fraternità necessaria per vivere e per vivere la fede.
Con parole semplici
È stato detto in questo Sinodo che la cultura vera consiste nel saper dire le cose fondamentali con parole semplici. Significa che i discorsi, gli articoli, i libri, i musei, i seminari, le parole che diciamo in pubblico e in provato, il modo con cui instauriamo relazioni in ogni luogo devono e possono esprimere le domande fondamentali e anche risposte chiare anche se parziali, in modo che chi ascolta, chi legge, chi guarda, chi incontra possa comprendere ed eventualmente ricevere ciò che è fondamentale. È stato detto anche che questo parlar semplice e profondo è raro, che talvolta prevale fra noi l’erudizione a discapito della cultura.
Riceviamo questo monito e questo invito, riceviamolo come pastori e pastore della chiesa, come diaconi e diacone, come amministratori e amministratrici, come organi che la chiesa si dà per il suo governo. Riceviamo questo monito senza subito obiettare, perché l’obiettivo della nostra testimonianza non siamo noi, né eventualmente il nostro orgoglio ferito, ma l’annuncio dell’Evangelo perché il mondo creda. Riceviamolo se può servirci a rendere più essenziale il nostro discorso e più dedito il nostro ministero.
Spirito di comunione
Voglio però anche dirvi che ciò che diciamo e facciamo non è solo il risultato di ciò che volevamo fare e dire. Un fratello del Comitato Vallone (Olanda) e un altro fratello tedesco sono venuti a ringraziarmi per essere stati invitati al Sinodo e per essere stati edificati dal clima di fraternità e dallo spirito che hanno colto in mezzo a noi, spirito di comunione e di franchezza. In modo particolare per quel che ha riguardato il dibattito su come essere chiesa insieme oggi. Un dibattito sincero e profondo in cui a chiunque è stato chiaro che è per tutti noi convinzione acquisita che i fratelli e le sorelle provenienti dal Sud del mondo hanno nelle nostre chiese e nei nostri circuiti pieno diritto di cittadinanza da anni (cosa che non hanno ancora o non abbastanza nel nostro Paese). Ora si tratta di crescere insieme e di vivere pienamente la nostra fede nella diversità delle culture senza paura di nominare i problemi. Si è parlato di «potere», di squilibrio, di questioni su cui è necessario vigilare, di riconoscimento e rispetto delle persone e della chiesa dei migranti e di riconoscimento e rispetto che ci aspettiamo da loro per le nostre chiese, per essere chiesa insieme. Proseguiamo con a more e franchezza questo cammino importante.
Gratitudine
Infine voglio dire una parola di riconoscenza e gratitudine ai fratelli Giovanni Carrari e Pietro Trotta che hanno concluso il loro settennio nella Tavola. Una riconoscenza sincera e profonda per il loro contributo nel lavoro difficile e bello di servire la chiesa in questa forma. In particolare voglio dire al Sinodo che mi ritengo fortunata per aver potuto lavorare, in questi anni, con Pietro Trotta. Giovanni Carrari lo sa, siamo pastori e il nostro contributo è più simile anche se è stata preziosa per la Tavola la precisione di Giovanni nel compilare i ruoli, nel ricordarci la specificità dei Circuiti e la sensibilità metodista. Da Pietro Trotta ho imparato in questi anni a conoscere il diritto non come l’insieme delle regole che ti impediscono di sbagliare o come una gabbia che ci contiene ma come una materia viva in grado di offrirci opportunità nuove con le quali migliorare la reciproca convivenza, la possibilità di agire con libertà e con speranza attraverso regole condivise. E un grande amore per la sua chiesa che ha servito dando alla Tavola un contributo di pensiero e di competenza difficilmente sostituibile.
Fratelli e sorelle, in ogni tempo Dio interpella ogni uomo e ogni donna: dove sei nel mondo? E il cuore a sentire questa domanda trema.
Tratto da Riforma del 14 settembre 2007 |