GIUSEPPINA BAGNATO:
MOSTRARE A TUTTI CHE IL VANGELO E' PAROLA VIVA E OPERANTE
Non ho mai considerato la fede come un qualcosa di scontato. Sono cresciuta in una comunità del Sud i cui membri davano molta importanza alla predicazione di Dio nelle proprie vite: una predicazione che lasciasse segni tangibili fra la gente in azioni e accoglienza. Ricordo il periodo dell'adolescenza come quello più difficile e ricco. Le contestazioni, la voglia di sapere, il non sentirsi mai abbastanza considerati e il voler capire perché nel fare il bene ci si debba riallacciare alla fede in un Dio anziché parlare semplicemente di un agire civile.
Oggi guardo ai ragazzi e alle ragazze di questa generazione che non è più la mia e io, che sto lavorando in due chiese prive della loro presenza, sento che stiamo venendo meno a un'importante missione. Manca il contatto diretto con il loro mondo complesso e affascinante e penso a me, a quando avevo la loro età, a come sarei cambiata se il pastore e il centro giovanile che allora frequentavo non mi avessero dato la possibilità di esternare il mio malessere e i miei dubbi con sincerità: erano gli unici spazi in cui ragazzi e ragazze credenti come si può esserlo a quell'età - in ricerca onesta - e non credenti, potevano sentire che Dio se c'era, non li avrebbe giudicati perché diversi dai propri padri.
L'anno scorso ho partecipato a un seminario a Josefstal in Baviera. Il tema, basato sul Salmo 78 («Quel che abbiamo udito, e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del SIGNORE, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operato») ci interrogava su Come passeremo la fede alle nuove generazioni. Mi sembra che oggi le famiglie non sappiano più raccontarsi e che Dio sia relegato alla sfera del «sacro e dalla catechesi» di cui «ovviamente» per molti il pastore dovrebbe farsi mediatore e portatore. Se la mia esperienza fosse stata questa, non sarei qui oggi.
Al contrario, è stata la scoperta della testimonianza che ognuno poteva condividere con me ad avermi formata. Oggi ho più coscienza della mia fede: momenti grandi e difficili con questo Dio che mi sconfigge sempre all'alba presso Peniel. Ascolto le persone: tanti credono di sapere che cosa sia la Chiesa e come dovrebbe funzionare. Altri questa Chiesa così com'è proprio non la capiscono: non vedono continuità con il Vangelo e vivono lontano dai luoghi «ufficiali» cercando comunione con la gente più disparata. Rifletto. E se le pareti scomparissero? Se ci si guardasse attorno e si capisse che la gente è la tua Chiesa?
In questi mesi ho lavorato fra dibattito e mediazione nel tentativo di riavvicinare le persone a quella missione all'interno della quale il «semplice credente» non è diverso dal pastore. Non ho mai pensato che ciò che noi diciamo nei luoghi di culto non possa essere condiviso e annunciato fuori, al contrario: mi sembra il senso di ciò che dovremmo fare. Ma fa paura oggi parlare di fede: sembra che per farlo debba esistere una terminologia teologica ufficiale. Io non credo che ci sia.
Tratto da Riforma dell'1 agosto 2008 |