Il messaggio della past. Maria Bonafede dopo la quarta rielezione a Moderatore
VOGLIAMO CAMMINARE LUNGO LA VIA STRETTA
La direzione delle nostre piccole chiese va verso il rispetto degli altri, della giustizia, della verità; il cammino evangelico ci invita a coltivare le relazioni umane contro ogni paura
Cari fratelli e care sorelle, a conclusione dei nostri lavori mi sento di poter dire che questo Sinodo ci ha indicato una strada, una via stretta come ci è stato detto, nella serata pubblica di lunedì scorso, da amici che ci osservano dall'esterno. Ci siamo chiesti se ci fosse uno spazio per il protestantesimo nella società italiana e loro ci hanno risposto: certo che c'è, è quello stretto, sconfitto, angusto che ha sempre caratterizzato i discepoli e le discepole di Cristo, il tentativo di testimoniare e di essere fedeli, la volontà di non prendere scorciatoie, di non dare risposte facili, di non sciorinare decaloghi di comportamento, di non dispensare amuleti. Di fronte ai grandi interrogativi, alla ricerca di senso e di indirizzo che la vita e la società pongono a ogni uomo e a ogni donna e a ogni componente della società come è anche una chiesa, ci è giunta questa risposta: «Entrate per la porta stretta poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano» (Matteo7, 13-14).
Incoraggiamento
La porta stretta e la via angusta: chi ce lo ha detto ci voleva incoraggiare e dirci che se lo spazio è poco e il cammino è difficile questo può essere il segno che siamo sulla giusta strada del discepolato. Noi lo ascoltiamo con le orecchie attente di chi è raggiunto dalla parola di Dio e si trova al contempo da essa messo in questione e spronato, non certo come la descrizione di ciò che siamo. Ma comunque questa parola ci giunge e la ascoltiamo: il cammino della fede e il suo destino non può essere altro che un cammino faticoso, difficile, che non incontra facili successi. Una via stretta, lungo la quale cerchiamo di farci luce con la Parola di Dio, e con questa luce cerchiamo di individuare un cammino che si svolge di fronte a noi mentre lo percorriamo. Sappiamo che in questo cammino la nostra chiesa è sostenuta dall'amore di Dio, sappiamo che intorno a noi c'è chi prega per noi, ma sappiamo anche che a ogni passo rischia-mo di mettere un piede in fallo. Il nostro non è un cammino trionfale, non è il cammino sicuro di chi segue una strada certa aperta da altri. È il cammino prudente di chi cerca aiuto, di chi si affida alla grazia di Dio, di chi sa di non disporre della Verità della strada ma si affida al Signore per individuarla.
I piccoli numeri
Una via stretta anche perché le nostre chiese sono esigue, i nostri numeri sono piccoli. Certo, là dove due o tré sono riuniti nel nome di Gesù..., ma è pur vero che perché la presenza e la testimonianza dei valdesi e dei metodisti in Italia abbia un futuro occorre che le nostre chiese crescano di numero. Non abbiamo l'ossessione della crescita esponenziale, ne dei grafici da esibire, e non misuriamo la nostra testimonianza con il numero di quanti entrano nelle nostre comunità. Detto questo ci dobbiamo interrogare su dove sia il nostro cuore, la nostra mente, le nostre energie e la nostra fantasia: se sul tesoro dell'Evangelo scoperto nella fede o... altrove. Quel tesoro nell'Evangelo e la grande gioia che lo accompagna fa fare a chi lo trova scelte importanti come vendere tutto per acquistare il campo. Chissà perché pensiamo che le scelte della fede, anche quelle difficili e che ci costano, siano facili per i testimoni biblici, e invece così difficili per noi da sembrare para*-dossali. Quanta è la gioia che ci muove? Quale il prezzo che siamo disposti a investire per il tesoro trovato?
La gioia della fede
Voler crescere nei numeri non significa rinunciare alla nostra teologia, ai nostri riferimenti, alla nostra identità di protestantesimo critico. Significa porsi nella prospettiva della predicazione, e della gioia che caratterizza la fede, che è una gioia da condividere invitando altre persone a venire con noi. Lo dico alle mie colleghe e ai miei colleghi, che tante volte esprimono il disagio della routine, della solitudine, delle distanze, dello stress che può venire da una proposta di trasferimento. A loro e a me stessa voglio dire, e senza nessuna ideologia, che la predicazione è anche lotta, preghiera, fatica e gioia per trovare quella via stretta che consente di annunciare affinché qualcuno creda. Dalla preparazione di una predicazione si esce stanche e stanchi ma gioiosi, dalla preparazione di una giornata comunitaria, o di uno studio biblico, o della formazione delle monitrici e dei monitori, o di chi si offre per fare delle visite, o di chi apre la chiesa per testimoniare di Cristo e della storia che egli ha creato con noi in molti secoli, si deve uscire con delle idee che sono nate nell'incontro delle persone con la Parola di Dio e tra di loro. E la predicazione non è affidata solo ai pastori. E anche ai credenti nella chiesa, ai predicatori e alle predicatrici, ai catechisti e alle catechiste, a chiunque senta di poter avere un compito nella predicazione e nella formazione, mi sento di dire: «Preparatevi, studiate, pregate e predicate, cioè cercate nella Bibbia il nesso e il senso e quale strada apre avanti a noi, e quale è la vocazione di Dio».
La nostra scommessa
Una via stretta anche perché la nostra scommessa è che l'Evangelo della Croce e quello della Resurrezione e quello delle cose nuove di Dio, che ha creato per alcuni secoli e anche in quello che si è chiuso da poco, una cultura, cioè atteggiamenti, conoscenza, pensiero, coscienze critiche e forgiate, possa anche oggi creare una cultura e donne e uomini capaci di essere degli apripista anche se nel sentiero stretto del discepolato. Una via stretta perché stiamo discutendo, e con quanta passione lo abbiamo fatto in questo Sinodo, di modelli di chiesa: quando abbiamo parlato di ecclesiologia, di rapporto tra la cena del Signore e il battesimo, abbiamo in realtà parlato della chiesa che vogliamo essere, una chiesa nell'agorà, nello spazio aperto dello molto voci e delle molte proposte, una piazza in cui si arriva ma dalla quale si può anche andare via, o una chiesa dai confini ben chiari, dove a un passo ne segue un altro graduale, sicuro. E noi, io, vorremmo poter essere l'una e l'altra, un po' l'una e un po' l'altra, qualcuno un po' di più la prima, qualcuno un po' più la seconda, ma senza scegliere.
Controcorrente
Una via stretta anche perché a volte sentiamo che il nostro dovere di verità e di giustizia va contro l'opinione comune della maggioranza. A volte ci sentiamo più controcorrente del solito. E più soli del solito. Accade quando denunciamo la politica della paura, quella politica e quella paura che ci dipingono il prossimo come un prossimo minaccioso o come un intralcio: essere stranieri in Italia è diventato più difficile, molto difficile. Viviamo in una società che nutre ed esalta le paure e che reagisce con la repressione, con la riduzione o la sospensione dei diritti. Care sorelle e cari fratelli, noi siamo qui oggi a dire che l'evangelo non è paura, anzi la paura la dissipa, e a dire che l'Evangelo è accoglienza. Quindi noi respingiamo e combattiamo provvedimenti che ledono diritti fondamentali. Lo facciamo con convinzione nella certezza che una minoranza come noi siamo, proprio perché segnata da una storia di sofferenze, persecuzioni e discriminazioni, ha il dovere speciale di vigilare su temi come quelli delle libertà individuali e collettiva, della laicità e del pluralismo della Stato. Vogliamo essere per l'accoglienza e per i diritti, non i nostri diritti, ma quelli di tutti e di chi non ne ha in particolare. Per questo è bella la proposta che Agape ha portato nel Sinodo che le nostre chiese possano essere dei santuarii cioè dei luoghi di accoglienza e di difesa di chi non ha diritti. La sorella e amica Cordula del Freundeskreis der Waldenserkirche, alla cena con gli ospiti di martedì sera, ci ha salutato rivolgendoci una parola tratta dalla lettera del 14 agosto del 1944 di Bonhoeffer che voglio ricordare: «In fin dei conti sono proprio i rapporti umani il fatto più importante della vita, e neppure l'uomo moderno, "l'uomo della prestazione" può cambiare questa realtà, ne tanto meno i semidei o i folli che nulla sanno dei rapporti umani. Dio stesso si fa servire da noi nell'umano».
Il valore delle persone
Anche la Commissione d'esame della Csd esordisce dicendo che la diaconia è relazione e che le persone contano, contano moltissimo e conta la relazione che instauri con loro. Lo voglio dire salutando Franca Barlera, che finisce il suo mandato, e Paolo Landi, che ha deciso di chiuderlo quest'anno. «In fin dei conti sono proprio i rapporti umani il fatto più importante della vita». E voi avete avuto in questo senso un ruolo importante nel vostro servizio nella chiesa: relazioni con i pastori e le pastore, con i consigli di chiesa, con le persone nella chiesa. Un compito talvolta difficile, scomodo perché nei rapporti umani ci si mette in gioco e si è aperti la relazione. Ma voglio dirvi anche che nel lavoro che abbiamo fatto insieme in tutti questi anni, il rapporto umano che si è creato conta e non si cancella. Grazie per l'entusiasmo con cui avete lavorato, per la dedizione e la grande disponibilità in ogni occasione e per tutto il tempo del vostro servizio.
Dialogo e decisione
Voglio dire un'ultima cosa che mi sta a cuore e cioè che nella chiesa riconosciamo le diversità di pensiero, di sensibilità, di esperienze come una grande ricchezza e come moderatora sento tutto il peso della responsabilità di un ministero di incontro, di ascolto e di dialogo con le chiese e con le persone nella chiesa e di un servizio per il governo della nostra chiesa. La diversità è il dono che consente il confronto a volte anche serrato, e poi viene il tempo delle decisioni. Sono quindi molto attenta alla voce del Sinodo e anche alle voci critiche che dal Sinodo giungono alla Tavola e in generale a chi riveste dei ruoli di responsabilità. Insomma, libertà di critica, ovviamente. Ma al tempo stesso mi sento di richiamare tutti noi - me per prima - alla fiducia nel sistema di governo della nostra chiesa. Vi è il tempo del dialogo, della critica, dell'ascolto, dell'analisi, del confronto e della mediazione. Ma poi vi è anche il tempo della decisione, anche quando è difficile e grave. La via stretta della fiducia e dell'assunzione di responsabilità, anche quando non è facile.
Una via stretta, dunque, nella quale a volte temiamo di perderci. Da lontano scorgiamo vie larghe e agevoli, talvolta affollate. Ma la nostra vocazione è restare su questa strada, è nella fedeltà a questo percorso che Dio apre di fronte a noi. Perché, come dice il salmista: «quelli che conoscono il Tuo nome confideranno in tè, perché, o Signore, tu non abbandoni quelli che ti cercano» (Salmo 9,10).
Tratto da Riforma del 12 settembre 2008 |