La riflessione teologica della Moderatora al momento della rielezione
AVENDO SEMPRE FIDUCIA IN DIO SOLTANTO
In questo Sinodo abbiamo cercato il Regno di Dio e la sua giustizia; lo abbiamo fatto con i nostri limiti e con la speranza che ci anima di radicarci sempre di più nell’ascolto della Parola
di Maria Bonafede
Cari fratelli, care sorelle in Cristo, abbiamo trascorso i sei giorni di questo Sinodo, dal culto di apertura domenica alla giornata di ieri e di oggi, con grande intensità, in qualche modo sostenuti, protesi: questa è l’impressione che diversi membri del Sinodo mi hanno testimoniato, ed è un’impressione che condivido. Ho provato a scoprirne le tracce e un invito di Gesù ha accompagnato i miei pensieri. Sono le parole del sermone della montagna in Matteo:
«Non siate in ansia per la vostra vita di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? … guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre, guardate i gigli della campagna, … Non contate voi assai più di loro… Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in più» (Matteo 6, 26-29).
Cercare il Regno
Credo che il motivo sia questo: non siamo stati in ansia per noi stessi; non lo siamo stati quando abbiamo pensato che si dovesse esprimere la solidarietà del Sinodo ai sopravvissuti eritrei, 5 su 78, per il loro dolore, per la lacerazione che quei morti dispersi rappresentano per la loro vita, e con loro agli uomini e alle donne, ai bambini, che entrano nel nostro paese in qualche maniera, cercando una speranza, un futuro per sé e per i propri familiari, esattamente come hanno fatto per decenni, nel secolo che è appena passato, milioni di italiani. La proposta di fare un digiuno come forma antica e biblica di preghiera e di protesta si è fatta strada nel Sinodo fino a concretizzarsi nelle ore di ieri [giovedì 27 agosto, ndr] che abbiamo vissute come l’espressione di una comunione vibrante di cordoglio, di invocazione e di morale protesta. «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia…». Forse un po’ lo abbiamo fatto provando a cercare le radici della nostra fede in Dio e non in noi, per altri e non per noi, cercando i criteri del Regno, il modo di pensare di Dio, cercando di collocare saldamente il nostro anelito alla giustizia e le idee che c’eravamo scambiati nel dibattito nella dimensione della preghiera e dell’ascolto.
Nuova visibilità
In secondo luogo una forte traccia di fiducia ha dato al Sinodo la presenza per la prima volta consistente e visibile, di fratelli africani: sono ancora pochi, ma indubbiamente è il primo Sinodo, a mia memoria, che registri 9 fratelli africani tra deputati e pastori, che si sono fatti sentire entrando nel merito con competenza in ogni tema dell’ordine del giorno…
Non siamo stati in ansia per noi stessi quando abbiamo parlato del terremoto e dell’attenzione che anche una piccola chiesa come la nostra può concentrare per esprimere vicinanza, partecipazione a chi ha perso tutto e ha il sonno disturbato dalla memoria dello spavento e dalla paura che possa ritornare. Un piccolo progetto di ascolto che ha coinvolto anche alcune decine di volontari delle nostre chiese, che hanno fatto esperienza della vicinanza e praticato la condivisione e l’amicizia.
Nel corso dell’anno le nostre chiese piccole e grandi, ma quelle piccole forse con una convinzione particolare, hanno celebrato il 5° centenario di Calvino e così molti lo hanno scoperto, o riscoperto, e lunedì scorso la serata sinodale, grazie a Giorgio Tourn e a Sara, ci è stato dato un approfondimento raro, dei quadri che occorrerebbero anni di studio per cogliere, che ci hanno fatto cogliere la portata del pensiero del riformatore nell’ambito della sua umanità e del dialogo culturale dell’epoca. Anche lunedì sera mi è parso che lo spirito fosse quello della preghiera e dell’ascolto: in quel clima abbiamo ripensato a Calvino, l’uomo libero perché sottoposto solo alla signoria di Dio e di nessun altro, l’uomo protagonista perché destinatario di una vocazione, l’uomo politico perché liberamente si vincola a un patto che lo impegna.
Voglio porre anche il dibattito iniziato sui nostri dialoghi con i fratelli pentecostali, dibattito intenso e non privo di tensioni, alla luce di questa parola biblica che ci vuole sottrarre all’ansia per orientarci alla ricerca dei criteri del regno di Dio e della sua giustizia: vogliamo approfondire soprattutto i contatti, la pratica della fraternità vissuta, il dialogo come vocazione di Dio che ci porta dove non sappiamo ancora e mai come puro esercizio virtuale che ci lascia dove siamo. E persino le finanze, i discorsi sulle contribuzioni e sui soldi mi pare abbiano avuto uno spessore spirituale raro.
Fiducia in Dio
Il Sinodo ha poi eletto professore di Teologia pratica il pastore Enrico Benedetto, italiano, ma pastore dell’Eglise Réformée de France. Gli auguriamo due anni di preparazione proficui e di rispondere a questa nuova vocazione per la sua vita con intensità e passione. Il Corpo pastorale in particolare, ma anche il Sinodo, ha però avuto la gioia di riconoscere i doni grandi di cui la chiesa è ricca anche negli altri candidati che hanno concorso alla cattedra, doni e competenze che già e da anni sono all’opera e che in questa occasione però sono stati posti dal Signore davanti ai nostri occhi come storia di persone e di pratiche, di pensiero teologico e di relazioni, perché ne siamo riconoscenti. Siamo certi che il lavoro e la produzione teologica della Facoltà di teologia saprà fare tesoro di queste risorse pastorali e intellettuali nell’adempimento della sua vocazione specifica.
Il discorso di Gesù, cari fratelli e sorelle, invita ad avere fiducia in Dio, e per farlo usa due bellissimi esempi tratti dalla natura: gli uccelli del cielo che non hanno bisogno di lavorare per mangiare e i gigli dei campi splendidamente vestiti. Bello, poetico, apparentemente ingenuo questo discorso!
Invece non si tratta di parole ingenue, né di parole poetiche soltanto: Gesù sa che la natura non è di per sé buona, e noi sappiamo che la natura può essere mostruosa, come anche recentemente e di nuovo abbiamo sperimentato con il terremoto d’Abruzzo. Gesù sa che si può morire in un attimo, che la natura può spezzare una vita prima che essa si sia dispiegata.
Questi esempi vogliono portare gli interlocutori di Gesù in due ordini di pensieri:
1) Se per Dio ha un senso e una bellezza pieni, la vita di un giglio che dura un giorno, che fiorisce al mattino ed è subito finita alla sera, sappiate che ne ha molto di più la vostra vita, anche una vita spezzata, anche una vita incomprensibile, anche la vita che dura un giorno. Quella vita è compiuta, ha un senso perché il suo senso e la sua bellezza sono dati dall’amore di Dio. Dio se ne prende cura, la riscatta, ne conserva il segreto molto di più che per gli uccelli del cielo e per i gigli dei campi. Sappiate, dice Gesù, che Dio ha cura di voi, sa di che cosa avete bisogno, la vostra vita è preziosa ai suoi occhi almeno quanto lo è ai vostri. Noi non possiamo prolungare nemmeno di uno il numero dei nostri giorni, siamo creature, sulla nostra vita e nella nostra vita c’è un limite che spesso riscontriamo con fatica e che vorremmo superare: il senso profondo di ogni esistenza e la pace di ogni creatura risiede nell’amore di Dio.
2) Per Gesù la vita umana vale più di quella dei gigli o degli uccelli del cielo, perché riceve la buona notizia del Regno di Dio. E Regno di Dio nel linguaggio biblico vuol dire il modo di regnare di Dio, il suo punto di vista, il suo modo di essere con noi e con l’umanità intera. Con Gesù il Regno di Dio si è fatto vicinissimo, riconoscibile come amore che ci incontra. Il Regno e la giustizia di Dio fanno della nostra vita una vita veramente umana, una vita che ha un centro, una vita che sa che ogni giorno è il giorno della partecipazione, della condivisione, dell’amore che si può spendere senza riserve.
Il Regno di Dio e la sua giustizia: mettere radici in lui ci consente di guardare con amore l’umanità che ci circonda, l’umanità incerta sul suo presente e sul suo futuro che noi anche siamo, l’umanità così diversificata nella quale siamo immersi e dei cui destini siamo parte pur sentendocene responsabili in qualche modo. Anche l’umanità senza fede, quella della ricerca di un orizzonte di senso e quella che non ha imparato da nessuno che si può cercare oltre l’apparenza delle cose, oltre l’avere. Simone Weil ha parole bellissime per l’umanità di coloro che non vogliono o non riescono a credere. Scrive Simone Weil a Joseph-Marie Perrin, padre domenicano e suo amico, nel gennaio del 1942 per spiegare la sua impossibilità di scegliere di essere battezzata:
«Nessun pensiero mi procura tanta pena quanto quello di separarmi dall’immensa e sventurata massa dei non credenti. Avverto il bisogno essenziale, e credo di poter dire la vocazione, di passare tra gli uomini e i diversi ambienti umani fondendomi con essi, assumendone lo stesso colore, almeno nella misura in cui la coscienza non vi si opponesse, dissolvendomi fra loro, affinché si mostrino quali sono, senza dissimularsi ai miei occhi. Desidero conoscerli per poterli amare quali sono. Perché se non li amo quali sono non sono loro che amo, e il mio amore non è vero» (Attesa di Dio, Adelphi, 2008, p. 9).
Credo che il vasto campo dell’umanità, che Gesù guardava con l’amore e la pena di chi guarda un gregge disperso e senza pastore, sia il vero orizzonte della chiesa, l’orizzonte vero della ricerca di Dio, del regno della sua giustizia, l’umanità che anela alla giustizia, l’umanità nostra sorella di chi cerca dentro i nostri confini una speranza, l’umanità che oggi ancora prova a sperare e non smette di farlo, mettendo le proprie radici in Dio soltanto e nel suo Regno. Tratto da Riforma dell'11 settembre 2009 |