Il dibattito sui rapporti tra chiese e Stato ha prodotto alcune prese di posizione
POCHI SANNO CHE QUELL'ORA E' FACOLTATIVA
L’ora di religione cattolica nella scuola pubblica è il vero il pomo della discordia: il ministro della Pubblica istruzione ricorre contro la sentenza del Tar; la riscossa clericale non ha freni
di Laura Ronchi De Michelis
Anche quest’anno il Sinodo ha dedicato spazio alla discussione dei rapporti con lo Stato, particolarmente in relazione alla regolamentazione della Istruzione religiosa cattolica e del regime dell’Otto per mille.
Quanto al secondo degli argomenti, il Sinodo ha preso atto con soddisfazione della avvenuta approvazione in data 26 maggio scorso, da parte della Commissione Affari costituzionali, della revisione dell’Intesa per quanto attiene alla attribuzione delle quote non espresse che, benché firmata da anni, non aveva ancora concluso il proprio iter parlamentare. La prima verifica della modifica introdotta si avrà nel 2012, a tre anni dalla sua entrata in vigore; va però sottolineato con soddisfazione il continuo incremento delle firme per le nostre chiese: oltre 310.000, nel resoconto relativo alle dichiarazioni del 2006 che ci è stato trasmesso, corrispondenti a oltre 8 milioni di euro. Una dimostrazione di fiducia a cui deve corrispondere continua attenzione e profondo senso di responsabilità nell’amministrazione del denaro che ci viene affidato.
Molte e diffuse preoccupazioni sono invece emerse nella discussione del primo argomento, anche per gli sviluppi più recenti del problema, che rendono sempre più invasiva la presenza della chiesa di Roma nella vita quotidiana dei cittadini.
La sentenza del Tar che in data 17 luglio accoglieva il ricorso presentato, tra gli altri, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese, dalla Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), dall’Unione delle Chiese evangeliche battiste in Italia (Ucebi), dall’associazione «31 ottobre», e dichiarava illegittima la valutazione della frequenza dell’Irc ai fini della determinazione del credito scolastico, così come disposto nel 2007 dall’allora ministro Fioroni, e il ricorso personale dell’attuale ministro Gelmini che ne vanifica, per il momento, le conseguenze, sono state al centro di una animata e partecipata discussione che si è ampliata a considerare le numerose ricadute, proprio sulle attività alternative all’Irc, delle disposizioni che riducono l’orario scolastico obbligatorio, senza però toccare quello dell’Irc. La riduzione dell’orario scolastico, ma soprattutto il diverso impiego dei docenti e la nuova regolamentazione delle supplenze renderà sempre più difficile, per i presidi e i direttori, salvaguardare lo spazio delle attività alternative così come previste dalla legge. A questo si aggiunge, e le testimonianze in proposito sono state molte, la scarsissima informazione relativa alla possibilità di non avvalersi dell’Irc, tanto che sono numerosi i genitori, e gli studenti, che ne ignorano proprio l’esistenza.
Numerosi interventi hanno sottolineato come questo sia un elemento di cui le nostre chiese debbono farsi carico con determinazione, diffondendo informazioni e sensibilizzando i genitori perché richiedano, per i propri figli, l’ora alternativa e vigilino sulla sua attuazione. Il quadro che è emerso dagli interventi è quello di una diffusa illegalità, quanto alla gestione dell’Irc, di una sua tutela che va ben oltre quanto disposto dalla legge, e di una generalizzata disattenzione per «la pari dignità» che la legge riconosce alle attività alternative, assenza compresa.
Il tema richiede, da parte di noi tutti, la massima attenzione, e un impegno militante nel pretendere il rispetto della normativa esistente che tutela la libertà di coscienza e il pluralismo religioso e ideologico, non stancandoci di ricordare in ogni sede opportuna, come enunciato dal Tar, che «l’attribuzione di un credito formativo a una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’Irc nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione» generando «una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero».
Il Sinodo ha così deliberato di far propria la dichiarazione della FCEI, decisa a proseguire l’azione giudiziaria ricorrendo, se necessario, alla Corte Costituzionale.
Tratto da Riforma dell'11 settembre 2009 |